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lunedì 20 giugno 2011

Sciacalli




Francesco Nuti, la malattia senza il rispetto
C'è un tipo di barbarie che a volte sfugge alla sua giusta classificazione. Le sono  state aperte le porte dei salotti buoni, masse acritiche la praticano senza accorgersene, e in tv impera in nome del più meschino degli interessi commerciali.

Francesco Nuti è stato sopraffatto dalla vita: si è rovinato  prima con l'alcoolismo, poi è incappato in una caduta che lo ha mandato in coma e in seguito lo ha lasciato menomato in maniera irreparabile.

In una trasmissione Mediaset è stato esposto in tutta la sua debolezza alle telecamere, milioni di italiani hanno potuto assistere ad un ipocrita tributo in suo onore.

C'era chi faceva finta di onorare un "dovere di cronaca" del tutto particolare.

Sotto il suo sorriso beffardo, invece, godeva nel vedere impennarsi gli ascolti.

Il grande artista era capace di connettere in parte, ma incapace di parlare.


Per di più, quando venivano mostrati i contributi-video dei suoi colleghi che gli facevano gli auguri e lo spronavano, Nuti piangeva.

Ed era un lamento quasi inumano, simile ad una bestia colpita a morte.
I suoi colleghi attori.  che erano chi più chi meno in buona fede, non capivano di prestarsi a un gioco perverso: quello di chi non ha dato dignità al dolore di Nuti, e che non capisce che in certi casi il silenzio è la forma migliore di buongusto e di rispetto.

Avetrana: l'uccisione di una ragazza, l'uccisione della privacy dei cittadini.

Avetrana è un paese del sud italia tranquillo, in cui la gente comune, fino a poco tempo fa, godeva di una piacevole normalità.

Dopo l'assassinio di Sara Scazzi, le telecamere di tutta Italia si sono assiepate davanti alle case dei genitori e della famiglia degli zii in cui si celano uno o più colpevoli.

Il tribunale sta facendo il suo lavoro, gli imputati attendono di conoscere la loro sorte. Ma degli sciacalli disturbano il loro lavoro, creano una saga televisiva, un' enorme sit-com con puntate quotidiane, un reality show che porta inevitabilmente ascolti e soldi a chi lo ha messo in piedi.

I giornalisti sciacalli non hanno pietà per i drammi umani: si intrufolano nelle case e chiedono: come hai ucciso la tua vittima? dove hai seppellito il corpo? Hanno il gusto per il particolare, e assaporano con tranquillità le informazioni macabre che ricevono.


Quando si metterà un freno alle derive mediatiche?

Il caso Avetrana è solo uno dei tanti in cui la stampa è andata oltre, facendo di un omicidio un set televisivo o un fotoromanzo e mistificando il diritto di cronaca.

Avvengono decine di omicidi in Italia ogni giorno, molto simili a quelli che vengon fatti oggetto della morbosa attenzione dei giornalisti.

Esercitando una pena del contrappasso, entrerei in casa di questi giornalisti, li sveglierei mentre dormono nella loro camera da letto, accompagnato da decine di cameramen, li sottoporrei alle più disparate domande e gli direi: come si ci sente?

C'è chi, alla fine di un processo, viene riconosciuto innocente, come è avvenuto in passato, ma  ormai ne hanno ucciso l'immagine: dovrà scappare dal suo passato di presunto colpevole, in ogni sguardo riconoscerà sospetti che la televisione renderà eterni. Andrà magari a cercare un lavoro, e il potenziale datore di lavoro dirà: ah, ma tu sei quello del delitto xx yy!

Mi chiedo perchè gli "Ordini dei giornalisti" non prendano provvedimenti. Quante volte vedremo ancora chiedere in tv "Come ti senti?" a uno che ha appena perso un figlio?

Le autorità preposte dovrebbero emettere ordinanze restrittive per non fare avvicinare i giornalisti alle abitazioni di chi è indagato o di chi ha subito un lutto.

Mi chiedo come sia possibile che ogni volta, in questi casi, fuggano informazioni riservate dai tribunali.

Raramente si trova il responsabile di questo, colui che si è venduto ai media per trenta denari o poco più. La coscienza però  non ha prezzo.


Una società malata di voyeurismo
Una canzone di Samuele Bersani dice:
"Chiedi un autografo all'assassino, guarda il colpevole da vicino, ed approfitta finchè resta dov'è, toccagli la gamba, fagli una domanda, cattiva, spietata, con il buco di entrata, senza il visto d'uscita..."

Un testo calzante, anche quando paragona questa gogna catodica ai processi e alle ghigliottine in piazza.

I colpevoli non sono pochi, siamo milioni, vouyeristi schifosi di questa pornografia dei sentimenti.

E questo vale anche per quei reality in cui si sbircia nella vita di tutti i giorni di altre persone, si ci attacca a una frase detta con innocenza e se ne travisa il significato, si fa business nel filmare un momento di sconforto, una lacrima che scende ripresa in primissimo piano. Le telecamere non si fermano nemmeno nell'intimità di una toilette o di un letto.

Nella frase biblica "Lo scandalo è negli occhi di chi guarda" c'è molto più che in mille trattati in materia di comunicazione.

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