Per qualche anno, l'Italia ha ospitato alcuni dei migliori cantautori Brasiliani, rifugiatisi da noi in seguito alle restrizioni della dittatura, durata fino agli anni '80.
Uno di questi artisti era Toquinho.
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E' pertanto dispensato dalle regole riguardanti la stampa nei periodi elettorali.
venerdì 31 maggio 2013
giovedì 30 maggio 2013
Testi integrali dei trattati europei
Vi consiglio di leggerli. Solo così si può capire cosa sta succedendo in Europa
http://europa.eu/eu-law/treaties/index_it.htm
Il sole 24 ore spiega il modello Giapponese: altro che austerity!
Se avessimo mantenuto le vecchie abitudini degli anni '70-80, come ha fatto il Giappone, saremmo ancora la quarta potenza industriale del mondo.
Per vecchie abitudini si intende: Banca centrale sotto il controllo della politica* e sovranità monetaria. A queste ricette il Giappone ha aggiunto una politica del tasso fisso per cui sono molti anni che, pur stampando moneta a go-go, ha un tasso di inflazione monetaria insignificante.
Il Giappone, pur avendo sofferto per molti anni la concorrenza delle economie emergenti, rimane la terza economia del mondo, non suscita le preoccupazioni del Fondo Monetario Internazionale, ha un debito mostruoso e continua ad aumentarlo, stampando moneta e finanziando l'economia, nonchè tutelando i suoi titoli di stato.
Possiamo fare benissimo lo stesso, noi Italiani, uscendo dall'euro ed impostando una politica monetaria appropriata.
La lira si apprezza o si deprezza, l'inflazione cresce o decresce, a seconda delle politiche monetarie, non per un fatalismo ignorante che ci viene propinato ogni giorno quando parliamo di ritorno alla moneta nazionale.
Il titolo dell'articolo è:
Perché con un rapporto debito/Pil al 236% il Giappone spende e spande mentre l'Italia va giù a colpi di austerity?
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-01-15/perche-debitopil-giappone-spende-091020.shtml?uuid=AbdBNSKH
*Notate bene: la Banca Centrale Giapponese è anch'essa privatizzata, ma si comporta ancora in buona parte come una banca centrale di proprietà pubblica.
Approfondimento:
Due idee minchione che fanno il gioco delle oligarchie europee
Tutti amici
C'è un'idea ingenua, ma che dico ingenua, lasciatemi dire minchiona, che spinge tante persone, anche contro l'evidenza, a credere che possa esserci un'Europa Unita come un unico vero stato: quella che tutti i suoi popoli riescano a stare insieme, mescolandosi e vivendo felici come buoni fratelli.
Già l'inizio del percorso unitario si è rivelato disastroso, con alcune nazioni che contano di più, e altre di meno.
Ci sono già membri dell'Ue che cercano di dominare gli altri e altri che subiscono e basta.
La storia ha dimostrato che quando si mettono insieme genti dalle esigenze e dalle identità diverse, questi pasticci si risolvono con la guerra.
C'è bisogno di ricordare cosa è successo in Yugoslavia?
Prendete l'Israele: ancora oggi due popoli, in quella lingua di terra bellissima e baciata dal sole, si combattono con odio e rancore.
Prendete gli Stati Uniti: nel loro caso l'esperimento ha avuto successo, ma a che prezzo?
Prima sono stati sterminati quasi tutti gli indiani. Poi il Nord e Sud del paese si sono fatti la guerra. Fino a una quarantina di anni fa, poi, le persone di colore non potevano sedersi nella parte anteriore degli autobus.
Ricordo che Francia, Irlanda, Olanda sono stati chiamati a pronunciarsi nei referendum sull'adesione all'Europa Unita e hanno votato un secco no. I loro governanti non li hanno ascoltati e sono andati oltre. Gli Svedesi hanno votato no all'euro e diversi partiti svedesi cercano di riproporre il referendum, fino a quando non voteranno sì.
Le paure
Un'altra argomentazione altrettanto minchiona è quella dell'essere uniti per far fronte alle minacce dei grandi stati potenti militarmente e\o commercialmente.
Qual è allora il piano, dico io? Fare una Europa Unita ma composta da gente che si impoverisce sempre di più, come sta avvenendo adesso? Un'Europa in cui comandano persone che nemmeno conosciamo, e che non abbiamo eletto? Chi di voi lettori ha mai sentito parlare di Herman Van Rumpoy? Conoscete Barroso? Conoscete le loro idee? Vi hanno mai cercati per chiedere il vostro consenso?
Conclusioni
Temiamo una invasione militare da parte di Russi e Cinesi? Bene, stringiamo delle alleanze militari.
Uno stato piccolo soccombe di sicuro commercialmente nel mercato globale? Non mi sembra che sia stato così per la Svizzera, o per tanti altri stati, come ad esempio il Giappone, che è vicino alla Cina e alla Russia, vi ha sempre tenuto testa e continua a farlo.
Vi sottopongo questa intervista del blogger Byoblu a Nigel Farage, leader dell'Ukip movement, un partito euroscettico. E' singolare rilevare come lui difenda l'Italia e il suo popolo molto più di quanto abbiano fatto i nostri rappresentanti politici, rispetto alle ingerenze straniere che subiamo.
C'è un'idea ingenua, ma che dico ingenua, lasciatemi dire minchiona, che spinge tante persone, anche contro l'evidenza, a credere che possa esserci un'Europa Unita come un unico vero stato: quella che tutti i suoi popoli riescano a stare insieme, mescolandosi e vivendo felici come buoni fratelli.
Già l'inizio del percorso unitario si è rivelato disastroso, con alcune nazioni che contano di più, e altre di meno.
Ci sono già membri dell'Ue che cercano di dominare gli altri e altri che subiscono e basta.
La storia ha dimostrato che quando si mettono insieme genti dalle esigenze e dalle identità diverse, questi pasticci si risolvono con la guerra.
C'è bisogno di ricordare cosa è successo in Yugoslavia?
Prendete l'Israele: ancora oggi due popoli, in quella lingua di terra bellissima e baciata dal sole, si combattono con odio e rancore.
Prendete gli Stati Uniti: nel loro caso l'esperimento ha avuto successo, ma a che prezzo?
Prima sono stati sterminati quasi tutti gli indiani. Poi il Nord e Sud del paese si sono fatti la guerra. Fino a una quarantina di anni fa, poi, le persone di colore non potevano sedersi nella parte anteriore degli autobus.
Ricordo che Francia, Irlanda, Olanda sono stati chiamati a pronunciarsi nei referendum sull'adesione all'Europa Unita e hanno votato un secco no. I loro governanti non li hanno ascoltati e sono andati oltre. Gli Svedesi hanno votato no all'euro e diversi partiti svedesi cercano di riproporre il referendum, fino a quando non voteranno sì.
Le paure
Un'altra argomentazione altrettanto minchiona è quella dell'essere uniti per far fronte alle minacce dei grandi stati potenti militarmente e\o commercialmente.
Qual è allora il piano, dico io? Fare una Europa Unita ma composta da gente che si impoverisce sempre di più, come sta avvenendo adesso? Un'Europa in cui comandano persone che nemmeno conosciamo, e che non abbiamo eletto? Chi di voi lettori ha mai sentito parlare di Herman Van Rumpoy? Conoscete Barroso? Conoscete le loro idee? Vi hanno mai cercati per chiedere il vostro consenso?
Conclusioni
Temiamo una invasione militare da parte di Russi e Cinesi? Bene, stringiamo delle alleanze militari.
Uno stato piccolo soccombe di sicuro commercialmente nel mercato globale? Non mi sembra che sia stato così per la Svizzera, o per tanti altri stati, come ad esempio il Giappone, che è vicino alla Cina e alla Russia, vi ha sempre tenuto testa e continua a farlo.
Vi sottopongo questa intervista del blogger Byoblu a Nigel Farage, leader dell'Ukip movement, un partito euroscettico. E' singolare rilevare come lui difenda l'Italia e il suo popolo molto più di quanto abbiano fatto i nostri rappresentanti politici, rispetto alle ingerenze straniere che subiamo.
Voci dal mondo
Il gruppo si chiama Teiksma (Leggenda) e il brano Jura gaju naudas
gut (Sono andato in mare per fare soldi)
Lo strumento che vedete è il kokle
Il Tratturo, band folkloristica molisana d'alto livello, che suona brani di propria composizione.
Irinella è a metà tra la ballata medievale e la classica serenata.
mercoledì 29 maggio 2013
Warren Mosler e l'Mmt
Secondo Warren Mosler, fondatore dell'MMT, si può usare la sovranità monetaria per creare benessere e piena occupazione.
A mio modesto parere, almeno un fondo di verità c'è, perchè la situazione nel nostro paese è peggiorata quando ci siamo allontanati da quanto lui propone.
Il modello da seguire è il Giappone
Il Giappone non è certo stato immune dalla crisi economica, e negli anni '90, oltre ad avere i suoi problemi di corruzione politica, di mafia e altro (proprio come l'Italia) ha dovuto decentrare molte fabbriche in paesi a basso costo come la Corea.
E' inutile dire come in quegli anni sia cresciuta la disoccupazione.
I Giapponesi hanno però un enorme senso civico e del lavoro di squadra. Hanno il collettivismo nella propria identità di popolo, e tendono a non lasciare fuori nessuno. Tutti devono poter lavorare, nella loro cultura, e quindi si cerca di tenere impegnati i pensionati e perfino i malati di mente. Gli ossessivo-complusivi, proprio per la loro attitudine a contare e a controllare, li impiegano per i lavori in cui queste attitudini vengono richieste.
Ecco allora che in Giappone la Banca centrale, pur essendo stata privatizzata, si comporta in buona parte come una banca ancora statale, e fa la fortuna del suo popolo: stampa soldi e titoli di stato in funzione della collettività e non del potere economico.
L'inflazione in Giappone non cresce da molti anni, tra l'altro, non c'è l'euro e c'è una moneta più debole della lira. I tassi d'interesse sul debito sono bassi e stabili.
Ditelo a chi ripete ancora la solfa della lira debole che era soggetta ad inflazione.
Se infatti fondiamo una nuova lira, dipende dalla nostra impostazione della politica monetaria quali saranno le caratteristiche future.
Sapete come il Giappone ha finanziato la ricostruzione di Fukushima? Stampando moneta ed utilizzandola per appaltare la ricostruzione.
E noi, perchè non ricostruiamo L'Aquila e le zone terremotate dell'Emilia? Semplice, perchè non possiamo stampare il nostro denaro e non abbiamo la sovranità monetaria.
E' inutile dire come in quegli anni sia cresciuta la disoccupazione.
I Giapponesi hanno però un enorme senso civico e del lavoro di squadra. Hanno il collettivismo nella propria identità di popolo, e tendono a non lasciare fuori nessuno. Tutti devono poter lavorare, nella loro cultura, e quindi si cerca di tenere impegnati i pensionati e perfino i malati di mente. Gli ossessivo-complusivi, proprio per la loro attitudine a contare e a controllare, li impiegano per i lavori in cui queste attitudini vengono richieste.
Ecco allora che in Giappone la Banca centrale, pur essendo stata privatizzata, si comporta in buona parte come una banca ancora statale, e fa la fortuna del suo popolo: stampa soldi e titoli di stato in funzione della collettività e non del potere economico.
L'inflazione in Giappone non cresce da molti anni, tra l'altro, non c'è l'euro e c'è una moneta più debole della lira. I tassi d'interesse sul debito sono bassi e stabili.
Ditelo a chi ripete ancora la solfa della lira debole che era soggetta ad inflazione.
Se infatti fondiamo una nuova lira, dipende dalla nostra impostazione della politica monetaria quali saranno le caratteristiche future.
Sapete come il Giappone ha finanziato la ricostruzione di Fukushima? Stampando moneta ed utilizzandola per appaltare la ricostruzione.
E noi, perchè non ricostruiamo L'Aquila e le zone terremotate dell'Emilia? Semplice, perchè non possiamo stampare il nostro denaro e non abbiamo la sovranità monetaria.
La privatizzazione della Banca d'Italia e l'entrata nell'Euro.
Negli anni '80 e '90 si assistette nelle maggiori potenze occidentali alla privatizzazioni delle banche centrali:
la giustificazione era il fatto che esse non dovevano essere sotto il giogo della politica, considerata asfissiante.
In realtà l'appartenenza dello stato al Ministero del Tesoro garantiva i nostri titoli di stato e ci metteva al riparo dalle speculazioni: Banca d'Italia e Ministero del Tesoro decidevano insieme il tasso di sconto, e se i titoli di stato rimanevano invenduti, lo stato stesso provvedeva ad acquistarli. In un sistema del genere non c'era margine per le speculazioni che hanno destabilizzato il nostro paese in seguito.
E infatti poco tempo dopo la privatizzazione della Banca D'Italia voluta con forza da Carlo Azeglio Ciampi, c'è stata una speculazione che ha deprezzato la lira. La finanza s'era messa in moto per far crollare la nostra economia e per far man bassa dei nostri gioielli di famiglia, acquistandoli a basso costo.
La deindustrializzazione dell'Italia è proseguita con le politiche di austerity degli anni '90 e quelle successive, volte a stabilizzare la moneta, a deprimere i consumi e ad entrare nell'euro. L'entrata nell'euro è stata la seconda tappa della nostra distruzione industriale: già provati dalle tasse, i nostri imprenditori hanno dovuto vendere i prodotti in euro, una moneta più forte che ci rendeva meno competitivi.
I prezzi nel 2002, subito dopo l'entrata dell'euro, si sono a dismisura, e ciò ha provocato il dimezzamento del potere d'acquisto da parte degli italiani. E' un dato inoppugnabile che la produzione industriale e le esportazioni sono scese in Italia e in Europa, nel decennio successivo, e l'unica ad avvantaggiarsi è stata la Germania, che però nei prossimi anni rimarrà intrappolata essa stessa da una moneta che non può adattarsi alle esigenze diverse dei 17 stati aderenti.
L'Euro, in economia, è come una moneta straniera applicata al nostro paese: non possiamo decidere una politica monetaria ad hoc per noi, e lo stato più forte, la Germania, tende a fare il proprio specifico interesse a danno degli altri.
Come se non bastasse, dopo avere distrutto il nostro benessere, la giustificazione della Trojka è che noi siamo i Piigs. E' un acronimo spregiativo che ricorda la parola inglese pigs (maiali). Noi siamo i maiali Portogallo, Italia, Irlanda, Spagna e Grecia, perchè avremmo sprecato e lavorato male.
Sono balle. Il discorso è lungo e lo tratterò in seguito. Vi basti sapere che il debito pubblico Tedesco è più alto del nostro, come quello del Regno Unito, che però ha una moneta sovrana e può gestirsi meglio. L'Irlanda ha un debito pubblico basso, e prima della crisi, esso lo era ancora di più.
La verità è che, come spiegato in precedenza, il debito pubblico non c'entra proprio niente.
E' una retorica che fa comodo alla Germania, il cui marco si sarebbe apprezzato troppo, diventando poco adatto alle esportazioni; queste balle fanno comodo inoltre agli speculatori, i quali, impossessandosi delle banche centrali dei singoli stati e delle Banche Centrali Nazionali, spingono (VEDI LA FAMOSA LETTERA DI TRICHET A BERLUSCONI) per dismettere lo stato sociale.
Hanno insistito per la riforma delle pensioni, della previdenza. Vogliono mettere le mani sul welfare per destinare quei soldi alle banche e alla copertura delle loro speculazioni.
E' proprio questa la differenza tra una banca centrale proprietà dello stato e una Banca Centrale Europea privata: la prima stampava moneta per finanziare ponti, strade, ospedali, assunzioni pubbliche. La seconda stampa moneta per finanziare le banche, ed è manovrata dai finanzieri.
la giustificazione era il fatto che esse non dovevano essere sotto il giogo della politica, considerata asfissiante.
In realtà l'appartenenza dello stato al Ministero del Tesoro garantiva i nostri titoli di stato e ci metteva al riparo dalle speculazioni: Banca d'Italia e Ministero del Tesoro decidevano insieme il tasso di sconto, e se i titoli di stato rimanevano invenduti, lo stato stesso provvedeva ad acquistarli. In un sistema del genere non c'era margine per le speculazioni che hanno destabilizzato il nostro paese in seguito.
E infatti poco tempo dopo la privatizzazione della Banca D'Italia voluta con forza da Carlo Azeglio Ciampi, c'è stata una speculazione che ha deprezzato la lira. La finanza s'era messa in moto per far crollare la nostra economia e per far man bassa dei nostri gioielli di famiglia, acquistandoli a basso costo.
La deindustrializzazione dell'Italia è proseguita con le politiche di austerity degli anni '90 e quelle successive, volte a stabilizzare la moneta, a deprimere i consumi e ad entrare nell'euro. L'entrata nell'euro è stata la seconda tappa della nostra distruzione industriale: già provati dalle tasse, i nostri imprenditori hanno dovuto vendere i prodotti in euro, una moneta più forte che ci rendeva meno competitivi.
I prezzi nel 2002, subito dopo l'entrata dell'euro, si sono a dismisura, e ciò ha provocato il dimezzamento del potere d'acquisto da parte degli italiani. E' un dato inoppugnabile che la produzione industriale e le esportazioni sono scese in Italia e in Europa, nel decennio successivo, e l'unica ad avvantaggiarsi è stata la Germania, che però nei prossimi anni rimarrà intrappolata essa stessa da una moneta che non può adattarsi alle esigenze diverse dei 17 stati aderenti.
L'Euro, in economia, è come una moneta straniera applicata al nostro paese: non possiamo decidere una politica monetaria ad hoc per noi, e lo stato più forte, la Germania, tende a fare il proprio specifico interesse a danno degli altri.
Come se non bastasse, dopo avere distrutto il nostro benessere, la giustificazione della Trojka è che noi siamo i Piigs. E' un acronimo spregiativo che ricorda la parola inglese pigs (maiali). Noi siamo i maiali Portogallo, Italia, Irlanda, Spagna e Grecia, perchè avremmo sprecato e lavorato male.
Sono balle. Il discorso è lungo e lo tratterò in seguito. Vi basti sapere che il debito pubblico Tedesco è più alto del nostro, come quello del Regno Unito, che però ha una moneta sovrana e può gestirsi meglio. L'Irlanda ha un debito pubblico basso, e prima della crisi, esso lo era ancora di più.
La verità è che, come spiegato in precedenza, il debito pubblico non c'entra proprio niente.
E' una retorica che fa comodo alla Germania, il cui marco si sarebbe apprezzato troppo, diventando poco adatto alle esportazioni; queste balle fanno comodo inoltre agli speculatori, i quali, impossessandosi delle banche centrali dei singoli stati e delle Banche Centrali Nazionali, spingono (VEDI LA FAMOSA LETTERA DI TRICHET A BERLUSCONI) per dismettere lo stato sociale.
Hanno insistito per la riforma delle pensioni, della previdenza. Vogliono mettere le mani sul welfare per destinare quei soldi alle banche e alla copertura delle loro speculazioni.
E' proprio questa la differenza tra una banca centrale proprietà dello stato e una Banca Centrale Europea privata: la prima stampava moneta per finanziare ponti, strade, ospedali, assunzioni pubbliche. La seconda stampa moneta per finanziare le banche, ed è manovrata dai finanzieri.
martedì 28 maggio 2013
Inflazione: un mito da sfatare
Per molti anni ci hanno detto che l'inflazione era una cosa negativa.
In realtà è l'iperinflazione ad essere un male, perchè riduce la moneta ad un pari valore alla carta straccia.
Non è mai stato un nostro problema, però, ed è causata da fattori del tutto straordinari.
La nostra inflazione storica era il risultato di un'economia che cresceva: i prezzi aumentavano perchè l'economia girava e gli italiani consumavano. In più c'era un buon incoming con le esportazioni. I nostri prodotti andavano forte e i prezzi si alzavano. I salari, però, venivano adeguati al costo della vita.
Ora l'economia decresce e i prezzi non aumentano.
La lira veniva svalutata per rendere competitivi i nostri prodotti venduti all'estero.
Oggi abbiamo l'euro, che non si svaluta ma distrugge la nostra industria. Le nostre aziende, inoltre, non sono più in grado di competere coi mercati internazionali.
Ora vi chiedo: erano meglio un po' di inflazione e un'economia che correva oppure inflazione zero, una moneta forte ed un'economia a pezzi?
Prima Kohl, poi la Merkel: influenze tedesche sulla nostra politica
L'altro ieri (ovvero una ventina d'anni fa) Kohl telefonava ad Andreotti per rimuovere Nino Galloni, il dirigente che difendeva la nostra sovranità monetaria.
Ieri, ovvero poco più di un anno fa, la Merkel ha messo a segno il colpo grosso ed ha piazzato il suo emissario Monti alla presidenza del consiglio, complici i nostri partiti timorosi e asserviti.
Dobbiamo capire una volta per tutte che dobbiamo alzare la testa, che la crisi deriva dalla stessa Europa a cui abbiamo aderito, e che dobbiamo recuperare la nostra sovranità.
L'Ue ci minaccia addirittura con misure sanzionatorie per le nostre presunte infrazioni di bilancio, dopo che proprio le politiche da essa imposte lo hanno distrutto.
Meglio Andreotti e Craxi
Una volta si diceva che la storia la scrive chi vince le guerre. Aggiungerei una postilla: chi è vivo, però, influenza più le masse di chi è scomparso.
Mano a mano che approfondisco l'analisi di ciò che
è e ciò che è stata la mia amata Italia, sto cambiando il modo di vedere le cose.
Come è opinione di molti e come i nostri politici vogliono far credere, oggi la politica si sarebbe evoluta. Si guarda con orrore alla Prima Repubblica, ovvero il periodo antecedente "Mani Pulite", in contrapposizione al presunto sol dell'avvenire che brucia adesso.
Tra l'altro, non ho mai capito perchè si parli di Prima e di Seconda Repubblica, visto che da allora è cambiata solo la maggioranza politica, e c'è un po' più di alternanza tra destra e sinistra.
Non è certo mutato l'assetto istituzionale dello stato.
Qualche partito s'è fatto un lifting, ha cambiatoi un po' il suo volto, ma le cose non mi sembrano molto migliori. Anzi.
Il debito pubblico brutto, sporco e cattivo.
Uno degli argomenti addotti dai coevi per svilire il passato è, ad esempio, il debito pubblico.
La loro versione è: "Prima si sprecavano risorse, oggi stiamo mettendo una toppa su quello che era uno scempio".
La loro versione è: "Prima si sprecavano risorse, oggi stiamo mettendo una toppa su quello che era uno scempio".
Ad uno studio più attento dell' economia, scopriamo cosa è realmente il debito pubblico. A tal proposito vi invito a leggere i miei posts precedenti.
Salta fuori che ciò che viene denominato con tale nomeil è una cosa positiva. Esso può inoltre aumentare illimitatamente e fino al recente passato non è mai stato un problema.
Salta fuori che ciò che viene denominato con tale nomeil è una cosa positiva. Esso può inoltre aumentare illimitatamente e fino al recente passato non è mai stato un problema.
La retorica neoliberista, che è stata messa in atto negli ultimi trent'anni dai paesi industrializzati, ha criminalizzato l'inflazione e il debito pubblico.
Si tratta di una propaganda ancora in atto per assecondare un piano scellerato e su vasta scala. Ad esso consegue l' abbattimento del welfare e dello stato sociale e mettere le risorse nelle mani degli speculatori. Non c'è nemmeno bisogno di parlare di complottismo, o definire questo assunto come una teoria: esso è dimostrato dai fatti.
Si tratta di una propaganda ancora in atto per assecondare un piano scellerato e su vasta scala. Ad esso consegue l' abbattimento del welfare e dello stato sociale e mettere le risorse nelle mani degli speculatori. Non c'è nemmeno bisogno di parlare di complottismo, o definire questo assunto come una teoria: esso è dimostrato dai fatti.
Andreotti tentò di liberarsi dalla morsa che già allora l'asse franco-tedesco imponeva alla nostra produttività, e dopo aver allontanato Nino Galloni, che aveva lanciato l'allarme, lo richiamò con sè al ministero del Tesoro.
Il cancelliere Kohl spinse invece verso la privatizzazione della banca d'italia e la distruzione della sovranità monetaria italiana: l'italia era un avversario temibile per i teutonici ed esportava molto di più, grazie alla svalutazione competitiva. Non si fermò a semplici dichiarazioni, ma fece pressione sui nostri governanti. Ebbe purtroppo successo per colpa dell'atteggiamento di alcuni nostri dirigenti, che oscillò tra il vero profilo di un criminale e quello dell'ignavo.
Mentre la politica dei Nenni e dei Fanfani prima e degli Andreotti e dei Craxi dopo, ha fruttato almeno quarant'anni di sviluppo economico, l'avere aderito alle politiche europee neoliberiste, negli ultimi venti anni, ci ha portati alla situazione di crisi attuale.
La corruzione c'era e c'è ancora
Pensavamo tutti che dopo mani pulite i politici ci avrebbero pensato due volte a farsi corrompere e a rubare. Oggi è ancora peggio: prima si ci faceva corrompere anche per il partito, e quindi per interessi più generali.
Oggi invece c'è chi ruba unicamente per sè stesso, vedi Fiorito e Penati.
La politica estera ieri ed oggi: non c'è paragone.
Negli anni del boom i governi supportarono Enrico Mattei che fece dell'Eni una delle più grandi compagnie energetiche del mondo. Egli aveva capito infatti che un paese che se un paese evolversi industrialmente deve avere un buon approvvigionamento di energia.
Strinse accordi con i paesi nordafricani e quelli del medioriente, strappando talvolta accordi migliori di nazioni più potenti di noi.
Fu ucciso perchè scalzò una grossa compagnia petrolifera britannica, e gliela fecero pagare: era in cantiere un colossale affare: l'eni avrebbe collaborato a riformare l'ente dell'energia iracheno. Erano gli anni precedenti Saddam e gli idrocarburi di quella regione già facevano gola a tutti.
E' indubbio che la politica di Andreotti e Craxi fu sapientemente filo-araba, e questo ci procurò un canale privilegiato con la Libia e la Tunisia.
Craxi, da presidente del consiglio e con Andreotti ministro degli Esteri, ebbe il coraggio di schierarsi a favore dei Palestinesi e contro Israele.
Mostrò i muscoli contro gli americani nella crisi di Sigonella.
Era corrotto, sì, ma aveva gli attributi.
Oggi invece nemmeno l'India ci rispetta (vedi il caso dei Marò) e i poteri forti europei ci hanno tolto la sovranità, complice la debolezza della nostra classe dirigente.
Monti, uomo della Goldman Sachs al pari di Mario Draghi, ha recepito i loro ordini e li ha messi in pratica.
Ed è dopo vicende come queste che mi rendo conto che era molto meglio l'Italia degli anni '70 e '80, quando eravamo la quarta potenza industriale del mondo, le garanzie sindacali erano molto superiori, gli stipendi venivano adeguati al costo della vita, non esisteva il lavoro interinale e precario, eravamo molto più rispettati all'estero.
Altro che corruzione e Prima Repubblica.
Meno retorica, più azione contro la violenza alle donne
C'è un femminismo strisciante, negli ultimi tempi, ricco di retorica, gravido di vittimismo.
E il vittimismo, molto spesso, nasconde la prepotenza.
Anche la Rai ha annunciato che non trasmetterà più Miss Italia perchè è contro la donna. Dopo tanti anni, adesso se ne accorgono? O piuttosto la kermesse della bellezza femminile non fa più audience?
Ecco che il dirigente ha colto la palla al balzo per farsi bello.
La violenza sulle donne, il femminicidio di cui si parla oggi non deriva da una ripresa del maschilismo. Nessuna associazione maschile ha fatto una riunione e ha deciso di rivestire i pantaloni con la violenza.
E' incontrovertibile il fatto che c'era più maschilismo e sopraffazione in passato che oggi.
Si tratta di vicende private, di gesti da condannare, ma da non condire con la retorica.
Si pensi piuttosto ad istituire corsi di autodifesa, di arti marziali per le donne. Si facciano programmi di sensibilizzazione, di recupero delle donne in difficoltà, di recupero delle migliaia e migliaia di prostitute presenti nelle strade italiane e vittime di aguzzini stranieri e nostrani.
Si riaprano i casini, che consentiranno una riduzione del racket e introiti per lo stato: nel contempo si istituiscano istituti di riabilitazione che introducano al lavoro e allo studio le prostitute che vogliono smettere, che devono poter usufruire di un supporto materiale e psicologico.
Qui sotto: un interessante video su una scuola militare femminile russa.
https://www.youtube.com/watch?v=U4ziX-9FjTg
sabato 25 maggio 2013
venerdì 24 maggio 2013
Il più grande crimine, di Paolo Barnard
Vi porgo un ulteriore invito a leggere il saggio divulgativo di Paolo Barnard, scritto apposta per rendere edotta la popolazione su tutte le sciocchezze che ci propinano sulle cause della crisi e sulle facili soluzioni che si possono perseguire
http://www.paolobarnard.info/docs/ilpiugrandecrimine2011.pdf
http://www.paolobarnard.info/docs/ilpiugrandecrimine2011.pdf
mercoledì 22 maggio 2013
Il percorso che ci ha portati alla privatizzazione delle banche centrali e all'euro
In questi interventi di Nino Galloni vengono spiegati i processi politici che hanno determinato la situazione di crisi attuale, e vengono sfatati i miti che ci hanno inculcato per spiegare l'austerity e l'avvento dell'euro, vera camicia di forza delle economie nazionali.
Verso la fine del secondo intervento viene spiegato anche come il divieto di stampare moneta autonoma e sovrana generi impoverimento.
Si fa cenno, tra l'altro, al mito dell'inflazione, che non è dovuto ad un aumento di moneta. Eppure viene utilizzato il fantasma delle Repubblica di Weimar per prendere in giro i popoli, creare la falsa teoria del debito pubblico (che in realtà è una cosa più positiva che negativa) per impoverire le masse, per fare degli stati del sud, finora tutt'altro che poveri e spreconi, dei paesi poveri e consumatori dei prodotti del nord.
Vi consiglio di approfondire gli argomenti nei precedenti video e nel link sul saggio di Paolo Barnard.
Paolo Barnard riassume ciò che fior di economisti dicono, anche se basterebbero rudimenti di economia per capire l'inganno.
Il punto è che i governi sono ormai composti da fantocci nelle mani degli investitori, e i fatti lo dimostrano.
Basterebbe partire da essi. Appropriandosi del meccanismo che crea ricchezza, ovvero la stampa della moneta, i grossi banchieri hanno fatto un grande salto di qualità, mettendo la gestione del sistema bancario (che prima era al servizio della comunità) al loro tornaconto.
Come hanno raggiunto l'obiettivo? Prima privatizzando le banche centrali nazionali, poi creando l'euro e la Banca centrale europea, anch'essa proprietà delle banche. La Banca d'Italia, sul suo sito, spiega bene quali sono le quote percentuali dei suoi proprietari.
martedì 21 maggio 2013
Italia, potenza scomoda: dovevamo morire, ecco come
Articolo tratto da libreidee.org
http://www.libreidee.org/2013/05/italia-potenza-scomoda-dovevamo-morire-ecco-come/
Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia.
E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino.
La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi.
A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani. E’ la drammatica ricostruzione che Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato, fornisce a Claudio Messora per il blog “Byoblu”. All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca.
Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, fin che potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco. Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”.
Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa». Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”.
E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima».
Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.
Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil.
Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale». Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato.
L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione». Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».
Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici». E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi. Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la Banca Commerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.
Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie peculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni. Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».
Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario.
«Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano». Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo».
Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio. Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo.
«Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco. Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei?
Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti.
«Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa». Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista.
L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas. Prima, però, bisogna mandare casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali.
Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia. Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute».
E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore.
«A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine.
http://www.libreidee.org/2013/05/italia-potenza-scomoda-dovevamo-morire-ecco-come/
Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia.
E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino.
La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi.
A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani. E’ la drammatica ricostruzione che Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato, fornisce a Claudio Messora per il blog “Byoblu”. All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca.
Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, fin che potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco. Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”.
Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa». Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”.
E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima».
Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.
Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil.
Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale». Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato.
L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione». Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».
Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici». E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi. Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la Banca Commerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.
Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie peculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni. Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».
Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario.
«Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano». Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo».
Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio. Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo.
«Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco. Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei?
Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti.
«Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa». Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista.
L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas. Prima, però, bisogna mandare casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali.
Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia. Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute».
E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore.
«A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine.
Take Shelter: il coraggio di affrontare la tempesta.
Per una strana, triste coincidenza, proprio mentre ieri infuriava il Tornado in Oklahoma, Rai Tre ha programmato, in lingua originale, Take Shelter (Mettiti al riparo), di Jeff Nichols, con Michael Shannen e Jessica Chasten.
Il film, molto interessante, parla di un taciturno operaio americano, che è assillato da un incubo, che cambia di volta in volta ma in cui predomina la scena,di un tornado che distrugge la sua casa e la sua famiglia.
Questo suo disturbo potrebbe avere una chiara causa psicologica, visto che lui fu abbandonato dalla madre paranoica da bambino. Si è ripromesso di difendere e di non abbandonare mai la sua famiglia, e teme l'ereditarietà genetica della malattia psichica.
Inizia ad avere fobie su tutto ciò che riguarda la sicurezza, perde il lavoro perchè si utilizza le attrezzature di lavoro per costruire un rifugio anti-tornado, e preoccupa tutti coloro che gli stanno vicino perchè evidentemente in difficoltà.
Curtis sembra un uomo in preda al delirio, ma poi il tornado arriva, e lui salva moglie e figlioletta rinchiudendosi nel bunker familiare.
Il momento chiave del film è quando la moglie lo esorta ad aprire la chiave del rifugio anti-tornado.
Tutto inizia a ricomporsi: i coniugi non litigano più e Curtis, benchè avesse ragione, accetta le cure perchè è molto provato.
Moglie e marito vanno al mare in vacanza. Mentre sono in spiaggia e Curtis fa un castello di sabbia con la bambina, arriva un altro tornado.
I tre si stringono in un abbraccio e rimangono apparentemente fermi in attesa del tornado.
Il messaggio più plausibile a me appare chiaro: Ci si preoccupa di difendere la famiglia in questi tempi difficili, ma se si ragiona in base alla paura c'è un eccesso di protezione che la soffoca. Bisogna dunque andare avanti ed affrontare uniti la tempesta, fidandosi l'uno dell'altro.
domenica 19 maggio 2013
sabato 18 maggio 2013
Chi non può spendere a deficit e perchè
CHI NON PUO' SPENDERE A DEFICIT E PERCHE' - ANCORA SUI TITOLI DI STATO
Il Capitano ha scoperto a sue spese che in alcune condizioni il debito pubblico non solo non è una ricchezza, ma è un serissimo problema. Vediamo quando, come e perché. Lo Stato non sovrano: un debito che è un problema, eccome! Noi della Zona Euro siamo come gli sventurati abitanti dell'Isola dei Pezzenti: nei guai fino al collo. Questo perché non possiamo più inventarci la moneta come usavamo fare prima con la lira, il marco, i franchi ecc. Non abbiamo più moneta sovrana: siamo utilizzatori, non emissori di valuta. Oggi, per ogni centesimo che spendiamo, dobbiamo far prestiti coi mercati dei capitali, cioè con istituti finanziari, fondi pensione, assicurazioni, banche, fondi sovrani stranieri, governi stranieri, persino individui, i quali però decidono i tassi d’interesse a loro vantaggio, strangolandoci; un Paese come l'Italia o la Francia deve bussare alle porte di creditori privati per farsi prestare gli Euro prima di poterli spendere per la comunità. Come fa uno Stato senza moneta sovrana a finanziare la spesa pubblica? Vende titoli di Stato sui mercati di capitali, dove però lo Stato deve competere e pagare tassi decisi dai privati. Questo stravolge completamente la funzione che hanno i titoli di Stato in una situazione di sovranità monetaria.
E' evidente che, in queste condizioni, lo Stato non dispone più liberamente del denaro e non può più permettersi di spendere a deficit per il benessere dei cittadini: a causa degli interessi sul prestito, infatti, il suo debito pubblico tende ad aumentare vertiginosamente, ed è un vero debito, non come quello dello Stato sovrano che s'indebita con se stesso. Ecco perché uno Stato senza sovranità monetaria è costretto al pareggio di bilancio: in particolare gli Stati dell'Unione Europea sono tenuti a mantenere il rapporto deficit/PIL al di sotto dei cosiddetti "parametri di Maastricht" imposti a tutti gli Stati dell'Eurozona (il rapporto deficit/PIL non deve superare il 3% e il rapporto debito pubblico/PIL non deve superare il 60% alla fine dell'ultimo esercizio di bilancio concluso). Ma osserviamo meglio questo rapporto. Come tutti i rapporti, anche il rapporto deficit/PIL è il risultato di una frazione: quindi, con il pareggio di bilancio, si blocca il numeratore (la spesa a deficit), con lo scopo di mantenere il più basso possibile questo rapporto. A parità di denominatore, infatti, più basso è il numeratore, più basso è il rapporto. Esempio: 100/20 = 5 80/20 = 4 Ma si noti l'assurdità di questa manovra: se infatti io blocco il numeratore, ma faccio diminuire il denominatore (il prodotto interno lordo o PIL) perché l'economia va sempre peggio, che succede? Ecco un esempio: 100/20 = 5 100/10 = 10 Succede che il rapporto lo faccio aumentare, non diminuire!
Questo banalissimo problema di matematica è stato affrontato più dettagliatamente nel capitolo sul Fiscal Compact. Tutto ciò dimostra che i governi che impongono il pareggio di bilancio con la scusa di mantenere basso il rapporto deficit/PIL sono in malafede. Detto con le parole di Paolo Barnard, i seguaci della scuola economica neoliberista (l'unica considerata valida in Europa) prescrivono come cura dosi ancora maggiori dello stesso veleno che ci sta ammazzando.
Il Capitano ha scoperto a sue spese che in alcune condizioni il debito pubblico non solo non è una ricchezza, ma è un serissimo problema. Vediamo quando, come e perché. Lo Stato non sovrano: un debito che è un problema, eccome! Noi della Zona Euro siamo come gli sventurati abitanti dell'Isola dei Pezzenti: nei guai fino al collo. Questo perché non possiamo più inventarci la moneta come usavamo fare prima con la lira, il marco, i franchi ecc. Non abbiamo più moneta sovrana: siamo utilizzatori, non emissori di valuta. Oggi, per ogni centesimo che spendiamo, dobbiamo far prestiti coi mercati dei capitali, cioè con istituti finanziari, fondi pensione, assicurazioni, banche, fondi sovrani stranieri, governi stranieri, persino individui, i quali però decidono i tassi d’interesse a loro vantaggio, strangolandoci; un Paese come l'Italia o la Francia deve bussare alle porte di creditori privati per farsi prestare gli Euro prima di poterli spendere per la comunità. Come fa uno Stato senza moneta sovrana a finanziare la spesa pubblica? Vende titoli di Stato sui mercati di capitali, dove però lo Stato deve competere e pagare tassi decisi dai privati. Questo stravolge completamente la funzione che hanno i titoli di Stato in una situazione di sovranità monetaria.
E' evidente che, in queste condizioni, lo Stato non dispone più liberamente del denaro e non può più permettersi di spendere a deficit per il benessere dei cittadini: a causa degli interessi sul prestito, infatti, il suo debito pubblico tende ad aumentare vertiginosamente, ed è un vero debito, non come quello dello Stato sovrano che s'indebita con se stesso. Ecco perché uno Stato senza sovranità monetaria è costretto al pareggio di bilancio: in particolare gli Stati dell'Unione Europea sono tenuti a mantenere il rapporto deficit/PIL al di sotto dei cosiddetti "parametri di Maastricht" imposti a tutti gli Stati dell'Eurozona (il rapporto deficit/PIL non deve superare il 3% e il rapporto debito pubblico/PIL non deve superare il 60% alla fine dell'ultimo esercizio di bilancio concluso). Ma osserviamo meglio questo rapporto. Come tutti i rapporti, anche il rapporto deficit/PIL è il risultato di una frazione: quindi, con il pareggio di bilancio, si blocca il numeratore (la spesa a deficit), con lo scopo di mantenere il più basso possibile questo rapporto. A parità di denominatore, infatti, più basso è il numeratore, più basso è il rapporto. Esempio: 100/20 = 5 80/20 = 4 Ma si noti l'assurdità di questa manovra: se infatti io blocco il numeratore, ma faccio diminuire il denominatore (il prodotto interno lordo o PIL) perché l'economia va sempre peggio, che succede? Ecco un esempio: 100/20 = 5 100/10 = 10 Succede che il rapporto lo faccio aumentare, non diminuire!
Questo banalissimo problema di matematica è stato affrontato più dettagliatamente nel capitolo sul Fiscal Compact. Tutto ciò dimostra che i governi che impongono il pareggio di bilancio con la scusa di mantenere basso il rapporto deficit/PIL sono in malafede. Detto con le parole di Paolo Barnard, i seguaci della scuola economica neoliberista (l'unica considerata valida in Europa) prescrivono come cura dosi ancora maggiori dello stesso veleno che ci sta ammazzando.
Debito buono e debito cattivo - Vantaggi della spesa in deficit
TIPI DI DEBITO DELLO STATO
Il Capitano ha capito una cosa fondamentale: il denaro è suo e di nessun altro; è lui lo Stato, è lui che decide quanto stamparne, quanto spenderne per gli isolani e quanto ritirarne con le tasse. Nel capitolo precedente abbiamo visto come il "pareggio di bilancio" sia una misura rovinosa per l'economia dei cittadini e sia destinato a privarli in maniera tragica di ogni prospettiva di benessere presente e futura. La domanda allora è: ma se il pareggio è una cosa così negativa, per quale motivo il governo si ostina a volerlo? Perché non spende a deficit per il benessere dei cittadini? La risposta è semplice: perché non abbiamo più la SOVRANITA' MONETARIA, cioè non siamo più emissori di moneta (la lira), ma soltanto utilizzatori (l'euro è emesso dalla Banca Centrale Europea, BCE). Questo fa sì che il nostro debito pubblico, conseguenza della spesa a deficit, sia veramente un debito. Vediamo di capire come e perché. Anzitutto vediamo quali sono i principali debiti dello Stato: il deficit di bilancio il debito pubblico il debito estero. Il deficit è la differenza fra la spesa dello Stato e i suoi incassi: se alla fine dell’anno esso ha incassato meno di quanto abbia speso, allora si dice che c’è un deficit. Il cumulo dei deficit dei trascorsi 70 o 100 anni, a seconda dei Paesi, forma il debito pubblico. Il debito estero è il debito collettivo (pubblico e privato) contratto da una nazione verso i creditori stranieri. Concentriamoci ora sullo spauracchio più terribile che ci viene agitato quotidianamente davanti: il debito pubblico. Il "debito pubblico" è un problema o no? La risposta dipende dalla natura di questo debito: che, se è denominato in valuta sovrana, non solo non è un problema, ma rappresenta la ricchezza dei cittadini. Questa affermazione, sebbene a prima vista sembri assurda, non è affatto un paradosso: che si tratti della pura verità è dimostrato dal fatto che la condivisero due personaggi di estrazione politico-economica ben diversa, e perciò al di sopra di ogni sospetto di partigianeria: il grande banchiere John Pierpont Morgan e il filosofo Karl Marx. Il primo ebbe ad affermare che "il debito pubblico è oro, perché genera reddito", mentre Marx scrisse: "Il debito pubblico è l'unica parte della ricchezza nazionale che entra nelle tasche dei cittadini dei paesi moderni." Sulla stessa linea il grande economista Michał Kalecki: "In un certo senso il deficit pubblico può essere considerato un surplus artificiale." Anche William Vickrey, premio Nobel per l'economia nel 1996, ha affermato: "Il debito pubblico non è un pericolo per l'economia, ma è la sua necessità." Del resto, come fa osservare il prof. Alain Parguez, nel 1915 i 3/5 degli attivi delle banche francesi e tedesche erano costituiti dal debito pubblico: ciò significò in Francia e in Germania la nascita dello Stato sociale e la costruzione di grandi opere pubbliche (ferrovie, strade eccetera), lo sviluppo dell'istruzione pubblica, in sintesi la socializzazione della società. Il Canale di Suez e quello di Panama furono creati col debito pubblico, e nessuno se ne preoccupava. Tutti pazzi? Evidentemente no. Se mai dovremmo chiederci perché la propaganda odierna ci fa credere il contrario. Il giornalista e saggista Paolo Barnard analizza lo stato della questione nel suo fondamentale saggio Il Più Grande Crimine (leggibile per intero e scaricabile qui), di cui sintetizziamo di seguito i capitoli 8 e 9.
Estratto dal sito:
Economia a scuola
Il Capitano ha capito una cosa fondamentale: il denaro è suo e di nessun altro; è lui lo Stato, è lui che decide quanto stamparne, quanto spenderne per gli isolani e quanto ritirarne con le tasse. Nel capitolo precedente abbiamo visto come il "pareggio di bilancio" sia una misura rovinosa per l'economia dei cittadini e sia destinato a privarli in maniera tragica di ogni prospettiva di benessere presente e futura. La domanda allora è: ma se il pareggio è una cosa così negativa, per quale motivo il governo si ostina a volerlo? Perché non spende a deficit per il benessere dei cittadini? La risposta è semplice: perché non abbiamo più la SOVRANITA' MONETARIA, cioè non siamo più emissori di moneta (la lira), ma soltanto utilizzatori (l'euro è emesso dalla Banca Centrale Europea, BCE). Questo fa sì che il nostro debito pubblico, conseguenza della spesa a deficit, sia veramente un debito. Vediamo di capire come e perché. Anzitutto vediamo quali sono i principali debiti dello Stato: il deficit di bilancio il debito pubblico il debito estero. Il deficit è la differenza fra la spesa dello Stato e i suoi incassi: se alla fine dell’anno esso ha incassato meno di quanto abbia speso, allora si dice che c’è un deficit. Il cumulo dei deficit dei trascorsi 70 o 100 anni, a seconda dei Paesi, forma il debito pubblico. Il debito estero è il debito collettivo (pubblico e privato) contratto da una nazione verso i creditori stranieri. Concentriamoci ora sullo spauracchio più terribile che ci viene agitato quotidianamente davanti: il debito pubblico. Il "debito pubblico" è un problema o no? La risposta dipende dalla natura di questo debito: che, se è denominato in valuta sovrana, non solo non è un problema, ma rappresenta la ricchezza dei cittadini. Questa affermazione, sebbene a prima vista sembri assurda, non è affatto un paradosso: che si tratti della pura verità è dimostrato dal fatto che la condivisero due personaggi di estrazione politico-economica ben diversa, e perciò al di sopra di ogni sospetto di partigianeria: il grande banchiere John Pierpont Morgan e il filosofo Karl Marx. Il primo ebbe ad affermare che "il debito pubblico è oro, perché genera reddito", mentre Marx scrisse: "Il debito pubblico è l'unica parte della ricchezza nazionale che entra nelle tasche dei cittadini dei paesi moderni." Sulla stessa linea il grande economista Michał Kalecki: "In un certo senso il deficit pubblico può essere considerato un surplus artificiale." Anche William Vickrey, premio Nobel per l'economia nel 1996, ha affermato: "Il debito pubblico non è un pericolo per l'economia, ma è la sua necessità." Del resto, come fa osservare il prof. Alain Parguez, nel 1915 i 3/5 degli attivi delle banche francesi e tedesche erano costituiti dal debito pubblico: ciò significò in Francia e in Germania la nascita dello Stato sociale e la costruzione di grandi opere pubbliche (ferrovie, strade eccetera), lo sviluppo dell'istruzione pubblica, in sintesi la socializzazione della società. Il Canale di Suez e quello di Panama furono creati col debito pubblico, e nessuno se ne preoccupava. Tutti pazzi? Evidentemente no. Se mai dovremmo chiederci perché la propaganda odierna ci fa credere il contrario. Il giornalista e saggista Paolo Barnard analizza lo stato della questione nel suo fondamentale saggio Il Più Grande Crimine (leggibile per intero e scaricabile qui), di cui sintetizziamo di seguito i capitoli 8 e 9.
Estratto dal sito:
Economia a scuola
I VANTAGGI DELLA SPESA A DEFICIT
Perché uno Stato sovrano dovrebbe voler spendere a deficit?
Semplice: perché i vantaggi della spesa a deficit per l'economia sono molteplici ed evidenti; solo per fare qualche esempio:
- è possibile finanziare il cosiddetto "Welfare", cioè servizi pubblici di vitale importanza come la sanità, l'istruzione e le pensioni;
- è possibile curare adeguatamente il patrimonio artistico e naturalistico;
- è possibile stanziare fondi per la ricostruzione di aree devastate da cataclismi naturali;
- se poi la spesa a deficit dello Stato è ben diretta, essa alzerà anche il PIL (prodotto interno lordo);
- l'aumento del PIL a sua volta aumenterà le entrate fiscali senza bisogno di aumentare le tasse;
- lo stimolo della produttività conterrà anche l’inflazione entro limiti accettabili.
- In esso vengono mostrate le terribili devastazioni prodotte dai cataclismi naturali che hanno colpito recentemente la Louisiana e il Giappone: ebbene, in poco più di un anno e mezzo gli Stati Uniti e il Giappone, grazie alla spesa a deficit, hanno ricostruito tutto ciò che era stato distrutto, mentre noi italiani, a quasi quattro anni dal terremoto, stiamo ancora contemplando le rovine di una città meravigliosa come L'Aquila, che non verrà mai più ricostruita finché rimaniamo nella logica dell'austerity!
Alla fine del video ascoltiamo Warren Mosler spiegare come nulla sia più rovinoso delle politiche di austerity in caso di crisi economiche: esse infatti agiscono prociclicamente, assecondando la crisi e peggiorandola in modo drammatico.
Questo è il motivo per cui il debito di uno Stato a moneta sovrana non viene mai realmente ripagato: ogni volta che questo è stato fatto, ci si è accorti che i danni erano di gran lunga superiori ai vantaggi; se uno Stato vuole ridurre il debito o addirittura eliminarlo, il risparmio dei cittadini crolla, perché saranno tassati più di quanto lo Stato li arricchisce spendendo, e l'economia girerà male.
Resta il problema del debito estero: quello denominato nella moneta sovrana non è un problema, perché lo Stato lo onorerà nel solito modo. Se invece il debito estero non è denominato nella moneta sovrana, è un grave problema, poiché questo assoggetta lo Stato al ricatto degli istituti finanziari occidentali, come il Fondo Monetario Internazionale. Ma esistono anche per questo scappatoie, come dimostra la storia recente degli USA e del Giappone.
Paolo Barnard: le sciocchezze che ci rifilano sul debito pubblico
Secondo una parte degli economisti il debito pubblico non è, come si afferma su tutti i media, l'indebitamento di uno stato o di un popolo, bensì la sua ricchezza. La maggior parte del debito ha nei due contraenti, debitore e creditore, la stessa entità: il popolo.
Esiste poi un debito pubblico reale, che però è strettamente minoritario, o almeno, lo era fino ad oggi, nell'area Euro.
Uno stato che ha la sovranità monetaria, però, può continuare a fare debiti, e non vi sarà nessuno che busserà alla sua porta per riscuoterli, perchè il creditore è lo stesso beneficiario.
Vi siete mai chiesti perchè gli U.s.a. continuano a produrre debito pubblico e non si interessano di ripagarlo?
Semplicemente perchè hanno la sovranità monetaria, e non usano una moneta di fatto straniera come l'Euro, che è una valuta estera per tutti i suoi componenti, Germania compresa.
Il Giappone ha il debito pubblico ammontante al 280% del Pil. Il nostro debito ammonta al 120% del Pil, e ciò è considerato un grave pericolo, ingannevolmente. Basterebbe infatti recuperare la sovranità monetaria che hanno i Giapponesi, gli Americani e la maggior parte degli stati mondiali.
Non possiamo stampare moneta, e per ottenere liquidità la dobbiamo chiedere in prestito alla Banca Centrale Europea, è un ente gestito da privati. Lo sapevate che la Banca d'Italia era stata privatizzata negli anni '90?
Ma andiamo con ordine. In questo saggio è spiegata l'origine della crisi dell'Euro e si indica la strada per uscirne.
Buona lettura.
http://www.paolobarnard.info/docs/ilpiugrandecrimine2011.pdf
Esiste poi un debito pubblico reale, che però è strettamente minoritario, o almeno, lo era fino ad oggi, nell'area Euro.
Uno stato che ha la sovranità monetaria, però, può continuare a fare debiti, e non vi sarà nessuno che busserà alla sua porta per riscuoterli, perchè il creditore è lo stesso beneficiario.
Vi siete mai chiesti perchè gli U.s.a. continuano a produrre debito pubblico e non si interessano di ripagarlo?
Semplicemente perchè hanno la sovranità monetaria, e non usano una moneta di fatto straniera come l'Euro, che è una valuta estera per tutti i suoi componenti, Germania compresa.
Il Giappone ha il debito pubblico ammontante al 280% del Pil. Il nostro debito ammonta al 120% del Pil, e ciò è considerato un grave pericolo, ingannevolmente. Basterebbe infatti recuperare la sovranità monetaria che hanno i Giapponesi, gli Americani e la maggior parte degli stati mondiali.
Non possiamo stampare moneta, e per ottenere liquidità la dobbiamo chiedere in prestito alla Banca Centrale Europea, è un ente gestito da privati. Lo sapevate che la Banca d'Italia era stata privatizzata negli anni '90?
Ma andiamo con ordine. In questo saggio è spiegata l'origine della crisi dell'Euro e si indica la strada per uscirne.
Buona lettura.
http://www.paolobarnard.info/docs/ilpiugrandecrimine2011.pdf
lunedì 6 maggio 2013
Anche le prostitute sono donne: storie di sfruttamento e di criminalità a Pescara
Affermare che a Pescara non vi siano ampie dimostrazioni di degrado umano e sociale, vuol dire mettersi le famose fette di prosciutto sugli occhi. Dalla disoccupazione al degrado urbanistico, dalla cementificazione all'assenza di aree verdi, dal proliferare della criminalità balcanica alla mancanza di senso civico di tanti che si ritengono nel giusto.
Si fa un gran parlare di "femminicidio" e di violenze subite dalle donne, e talvolta si strumentalizzano tali vicende per fare facile demagogia politica. Molte candidate alle elezioni, nei comuni come nella corsa al parlamento, hanno sbandierato la loro semplice e comunissima appartenenza al sesso debole per chiedere voti.
Ciò avviene come se bastasse l'essere donna per calarsi nella realtà di ognuna e per capire quali sono le politiche da attuare riguardo a problemi complessi.
Anche parecchi media nazionali interpretano la questione in modo dozzinale.
Eppure sono minoritarie le voci che parlano dei diritti delle prostitute. Spesso quando muore una lucciola sono in tanti a dire: "una di meno" o "se l'è andata a cercare".
Eppure le signore delle "famiglie per bene" compiono cattiverie ben superiori delle ragazze di vita. Le donne hanno più o meno gli stessi difetti degli uomini. Ci sono donne sfruttatrici delle loro dipendenti, donne che seminano con la parola fior di litigi, donne che si vendono, per tutta la vita, ad un prezzo più alto delle meretrici (il cui il gioco, almeno, è a carte scoperte e di breve durata).
"Un bel gioco dura poco": ditelo a coloro che si concedono come spose all'uomo abbiente e a chi detiene il potere, sia egli un membro della classe dirigente o un capoclan di quartiere.
E' proprio grazie all'autoindulgenza che va per la maggiore, all'appellarsi alle sfumature per cui il giusto non è mai di un solo colore, che la società utilizza di nascosto e condanna pubblicamente le donne da marciapiede.
Non conta il fatto che proprio loro sono le persone maggiormente esposte allo stupro, alle percosse, al coltello o alla pistola degli aguzzini o dei maniaci.
Quante strategie hanno provato le forze di polizia e i municipi di Pescara, Montesilvano e Silvi Marina, per arginare il fenomeno del racket, della tratta delle bianche e delle nere.
Le leggi nazionali però vanificano tutto: non c'è una legislazione seria in materia, non si possono cacciare con il foglio di via le lucciole comunitarie, salvo alcuni casi.
Spesso anche quando viene stabilito il rimpatrio di persone non gradite gli viene dato un foglio in cui gli si ordina di andarsene spontaneamente.
Non ci sono politiche serie per il recupero umano di ragazze che sono nate tra le difficoltà, e il cui destino era già segnato alla nascita.
L'ipocrisia della società italiana è ispirata, anche politicamente, da una malintesa morale cattolica. Per chi crede, Gesù salvò un'adultera che stava per essere lapidata semplicemente affermando: "Chi è senza peccato, scagli la prima pietra". In più accolse nel suo cenacolo, insieme ai dodici apostoli, Maria Maddalena, una prostituta che lui aveva convertito.
Abbassiamo dunque il nostro dito inquisitore e pensiamo ad una soluzione.
In una eventuale casa di piacere del 2013 le lavoratrici accumulano i fondi per la pensione, ricevono controlli sanitari, pagano le tasse procurando introiti stimati tra i 20 e i 50 miliardi annui per le casse dello stato, sono tutelate dagli aggressori, non sono costrette da nessuno e non lavorano per strada in condizioni di scarsa igiene. Le case d'appuntamento darebbero un colpo enorme ai delinquenti italiani e stranieri che la fanno da padroni a Pescara e girano con macchine di grossa cilindrata.
Una città che si ritiene civile, che ha dato i natali a Gabriele D'Annunzio ed Ennio Flaiano, che ha una storia millenaria alle spalle, si ritrova alla mercè di un manipolo di protettori. Se chiudiamo gli occhi li ritroviamo con una immagine nitida. Ed eccoli i cosiddetti "magnaccia" del 2000: brutti ceffi romeni, albanesi e nigeriani, col catenaccio della bici al collo, stupidi fino al midollo, ubriaconi, balordi. Eppure vincono loro.
E poi ci sono loro, le 16, 17 enni, 20 enni belle, sporche e cattive. Sfruttate, sono vittime che poi spesso diventano complici dei carnefici e aguzzine esse stesse delle loro compagne. Le vedi lì ai bordi delle strade, già dopo le sei della sera, e il maschio ottuso italico si sente gratificato. Ballano le loro danze con una radiolina, mimando passi di danza, un po' come Shakira, un po' come Salomè. La musica del sud est europeo spesso ha qualcosa di orientale, di arabo e di indiano al tempo stesso.
La loro giovane età fa in modo che riescano a ridere un po' anche in queste condizioni, spendendo del tempo insieme e fornendo da vivere al venditore di porchetta notturno, che grazie a loro si procura la metà delle entrate.
Ma intanto ci sono molte presunte paladine delle donne che fondano associazioni, che si atteggiano a lady, che fanno tante moine per scalare posizioni in società con tanto fumo e poco arrosto. Si avventurano in proposte sempre più idiote, che sanno di femminismo stantio e stupidotto.
Le donne della notte vivono una vita molto più reale di loro, e sul far della sera affilano le unghie, pronte sia all'amore che alla lotta con il prossimo uomo senza volto.
Arriva la bella stagione, e sul confine appare un cartello che accoglie i turisti balneari: benvenuti a Pescara, capoluogo di provincia, capitale della Romania italiana.
Andrea Russo
Si fa un gran parlare di "femminicidio" e di violenze subite dalle donne, e talvolta si strumentalizzano tali vicende per fare facile demagogia politica. Molte candidate alle elezioni, nei comuni come nella corsa al parlamento, hanno sbandierato la loro semplice e comunissima appartenenza al sesso debole per chiedere voti.
Ciò avviene come se bastasse l'essere donna per calarsi nella realtà di ognuna e per capire quali sono le politiche da attuare riguardo a problemi complessi.
Anche parecchi media nazionali interpretano la questione in modo dozzinale.
Eppure sono minoritarie le voci che parlano dei diritti delle prostitute. Spesso quando muore una lucciola sono in tanti a dire: "una di meno" o "se l'è andata a cercare".
Eppure le signore delle "famiglie per bene" compiono cattiverie ben superiori delle ragazze di vita. Le donne hanno più o meno gli stessi difetti degli uomini. Ci sono donne sfruttatrici delle loro dipendenti, donne che seminano con la parola fior di litigi, donne che si vendono, per tutta la vita, ad un prezzo più alto delle meretrici (il cui il gioco, almeno, è a carte scoperte e di breve durata).
"Un bel gioco dura poco": ditelo a coloro che si concedono come spose all'uomo abbiente e a chi detiene il potere, sia egli un membro della classe dirigente o un capoclan di quartiere.
E' proprio grazie all'autoindulgenza che va per la maggiore, all'appellarsi alle sfumature per cui il giusto non è mai di un solo colore, che la società utilizza di nascosto e condanna pubblicamente le donne da marciapiede.
Non conta il fatto che proprio loro sono le persone maggiormente esposte allo stupro, alle percosse, al coltello o alla pistola degli aguzzini o dei maniaci.
Quante strategie hanno provato le forze di polizia e i municipi di Pescara, Montesilvano e Silvi Marina, per arginare il fenomeno del racket, della tratta delle bianche e delle nere.
Le leggi nazionali però vanificano tutto: non c'è una legislazione seria in materia, non si possono cacciare con il foglio di via le lucciole comunitarie, salvo alcuni casi.
Spesso anche quando viene stabilito il rimpatrio di persone non gradite gli viene dato un foglio in cui gli si ordina di andarsene spontaneamente.
Non ci sono politiche serie per il recupero umano di ragazze che sono nate tra le difficoltà, e il cui destino era già segnato alla nascita.
L'ipocrisia della società italiana è ispirata, anche politicamente, da una malintesa morale cattolica. Per chi crede, Gesù salvò un'adultera che stava per essere lapidata semplicemente affermando: "Chi è senza peccato, scagli la prima pietra". In più accolse nel suo cenacolo, insieme ai dodici apostoli, Maria Maddalena, una prostituta che lui aveva convertito.
Abbassiamo dunque il nostro dito inquisitore e pensiamo ad una soluzione.
In una eventuale casa di piacere del 2013 le lavoratrici accumulano i fondi per la pensione, ricevono controlli sanitari, pagano le tasse procurando introiti stimati tra i 20 e i 50 miliardi annui per le casse dello stato, sono tutelate dagli aggressori, non sono costrette da nessuno e non lavorano per strada in condizioni di scarsa igiene. Le case d'appuntamento darebbero un colpo enorme ai delinquenti italiani e stranieri che la fanno da padroni a Pescara e girano con macchine di grossa cilindrata.
Una città che si ritiene civile, che ha dato i natali a Gabriele D'Annunzio ed Ennio Flaiano, che ha una storia millenaria alle spalle, si ritrova alla mercè di un manipolo di protettori. Se chiudiamo gli occhi li ritroviamo con una immagine nitida. Ed eccoli i cosiddetti "magnaccia" del 2000: brutti ceffi romeni, albanesi e nigeriani, col catenaccio della bici al collo, stupidi fino al midollo, ubriaconi, balordi. Eppure vincono loro.
E poi ci sono loro, le 16, 17 enni, 20 enni belle, sporche e cattive. Sfruttate, sono vittime che poi spesso diventano complici dei carnefici e aguzzine esse stesse delle loro compagne. Le vedi lì ai bordi delle strade, già dopo le sei della sera, e il maschio ottuso italico si sente gratificato. Ballano le loro danze con una radiolina, mimando passi di danza, un po' come Shakira, un po' come Salomè. La musica del sud est europeo spesso ha qualcosa di orientale, di arabo e di indiano al tempo stesso.
La loro giovane età fa in modo che riescano a ridere un po' anche in queste condizioni, spendendo del tempo insieme e fornendo da vivere al venditore di porchetta notturno, che grazie a loro si procura la metà delle entrate.
Ma intanto ci sono molte presunte paladine delle donne che fondano associazioni, che si atteggiano a lady, che fanno tante moine per scalare posizioni in società con tanto fumo e poco arrosto. Si avventurano in proposte sempre più idiote, che sanno di femminismo stantio e stupidotto.
Le donne della notte vivono una vita molto più reale di loro, e sul far della sera affilano le unghie, pronte sia all'amore che alla lotta con il prossimo uomo senza volto.
Arriva la bella stagione, e sul confine appare un cartello che accoglie i turisti balneari: benvenuti a Pescara, capoluogo di provincia, capitale della Romania italiana.
Andrea Russo
domenica 5 maggio 2013
Il Genoa fa poker: 4-1, biancazzurri inermi.
(A sinistra: l'esultanza di Borriello)
Si chiedeva un po' di dignità ad un Pescara già retrocesso da un mese più per manifesta inferiorità che per un calcolo matematico. Non è giunta nemmeno quella, a giudicare da prestazioni incolori come quella di oggi.
Il Genoa è una squadra molto modesta, che all'andata il Delfino ha battuto 2 a 0. Eppure tali sono state le lacune difensive (anche da parte del portiere Perin) che perfino il piccolo grifone ligure è sembrato un grande team al cospetto degli uomini di Cristian Bucchi.
Al 17' c'è un bel cross di Sculli dalla sinistra: Sforzini colpisce di testa e manda il pallone di poco alto.
Due minuti dopo il Genoa passa in vantaggio: affondo di Manfredini che crossa quasi da fondo campo e Floro Flores, liberissimo, insacca di testa.
Il Pescara sbaglia parecchi passaggi, mentre il Genoa cresce nella prestazione.
E' così che al 30' Borriello controlla un pallone aereo, forse con il braccio, e lascia partire un tiro al volo che Perin non raggiunge: 2 a 0.
Al 35' il Pescara accorcia le distanze: Sculli compie un bel gesto tecnico e in elevazione raggiunge un difficile pallone con la testa, spedendolo in rete.
La partita sembra ancora aperta fino al 9' del secondo tempo, quando Floro Flores serve Borriello che lascia esplodere da posizione defilata e dalla lunga distanza un bolide, che trova Perin incredibilmente impreparato. La palla si infila sotto la traversa, ma l'estremo difensore abruzzese non salta nemmeno.
Al 25' del secondo tempo il Genoa fa poker: uscita di Perin su Borriello. C'è uno scontro fortuito, i due cadono, ma Bertolacci intercetta la sfera e tira a porta sguarnita: 4 a 1.
La partita ora non ha più molto da dire: un Pescara smarrito tenta una reazione, ma la squadra del presidente Sebastiani sembra davvero poca cosa.
Non resta che pensare alla prossima stagione in serie B. Solo una parte, forse minoritaria dei giocatori attualmente in rosa rimarrà. C'è un entusiasmo da ricostruire e degli obiettivi per un campionato di vertice che sono alla portata del Delfino nella serie cadetta. Il Pescara potrà contare sul surplus già realizzato quest'anno e sui bonus dei diritti televisivi che spettano alle squadre neoretrocesse
Andrea Russo
Si chiedeva un po' di dignità ad un Pescara già retrocesso da un mese più per manifesta inferiorità che per un calcolo matematico. Non è giunta nemmeno quella, a giudicare da prestazioni incolori come quella di oggi.
Il Genoa è una squadra molto modesta, che all'andata il Delfino ha battuto 2 a 0. Eppure tali sono state le lacune difensive (anche da parte del portiere Perin) che perfino il piccolo grifone ligure è sembrato un grande team al cospetto degli uomini di Cristian Bucchi.
Al 17' c'è un bel cross di Sculli dalla sinistra: Sforzini colpisce di testa e manda il pallone di poco alto.
Due minuti dopo il Genoa passa in vantaggio: affondo di Manfredini che crossa quasi da fondo campo e Floro Flores, liberissimo, insacca di testa.
Il Pescara sbaglia parecchi passaggi, mentre il Genoa cresce nella prestazione.
E' così che al 30' Borriello controlla un pallone aereo, forse con il braccio, e lascia partire un tiro al volo che Perin non raggiunge: 2 a 0.
Al 35' il Pescara accorcia le distanze: Sculli compie un bel gesto tecnico e in elevazione raggiunge un difficile pallone con la testa, spedendolo in rete.
La partita sembra ancora aperta fino al 9' del secondo tempo, quando Floro Flores serve Borriello che lascia esplodere da posizione defilata e dalla lunga distanza un bolide, che trova Perin incredibilmente impreparato. La palla si infila sotto la traversa, ma l'estremo difensore abruzzese non salta nemmeno.
Al 25' del secondo tempo il Genoa fa poker: uscita di Perin su Borriello. C'è uno scontro fortuito, i due cadono, ma Bertolacci intercetta la sfera e tira a porta sguarnita: 4 a 1.
La partita ora non ha più molto da dire: un Pescara smarrito tenta una reazione, ma la squadra del presidente Sebastiani sembra davvero poca cosa.
Non resta che pensare alla prossima stagione in serie B. Solo una parte, forse minoritaria dei giocatori attualmente in rosa rimarrà. C'è un entusiasmo da ricostruire e degli obiettivi per un campionato di vertice che sono alla portata del Delfino nella serie cadetta. Il Pescara potrà contare sul surplus già realizzato quest'anno e sui bonus dei diritti televisivi che spettano alle squadre neoretrocesse
Andrea Russo
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