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mercoledì 5 novembre 2025

L’Europa a un bivio: o sarà federale o meglio tornare alle origini!

Il Trattato di Lisbona doveva segnare la maturità dell’Unione Europea. Dopo la crisi del progetto costituzionale del 2004, Lisbona rappresentò il compromesso necessario per dare all’Europa istituzioni più solide, un volto politico più riconoscibile, una voce più autorevole. 

E, in parte, l’obiettivo fu raggiunto: la riforma ha semplificato la macchina comunitaria, dato personalità giuridica all’Unione, rafforzato il ruolo del Parlamento europeo e consolidato quel mercato unico che resta tuttora il cuore pulsante dell’integrazione. 

Le “quattro libertà” — circolazione di persone, merci, servizi e capitali — sono diventate la spina dorsale della quotidianità economica europea. Milioni di cittadini si muovono, lavorano, commerciano e investono oltre i confini nazionali con una libertà che, solo trent’anni fa, era impensabile. 

Eppure, dietro questa integrazione economica esemplare si nasconde una debolezza politica che oggi pesa come un macigno. Lisbona ha lasciato zone d’ombra proprio nei campi dove l’Europa avrebbe bisogno di unità: politica estera, sicurezza, difesa comune. 


Le crisi degli ultimi anni lo hanno reso lampante. Davanti alla pandemia, alla guerra in Ucraina, alla crisi energetica e alla nuova competizione globale, l’Unione ha mostrato un doppio volto: rapida e incisiva quando si trattava di varare strumenti economici come il Next Generation EU, ma lenta e divisa quando si trattava di parlare con una sola voce sul piano internazionale. 

Le cause sono note. La politica estera e di sicurezza comune resta prigioniera dei veti nazionali: ogni decisione deve essere unanime, ogni posizione calibrata per non offendere nessuno. La difesa comune, pur evocata in decine di dichiarazioni, rimane una chimera: nessun esercito europeo, nessuna strategia condivisa, nessuna reale capacità autonoma. 

È questo il paradosso dell’Europa di Lisbona: un colosso normativo e commerciale, ma un nano politico. Un’Unione capace di regolare la concorrenza globale ma incapace di difendere i propri confini o i propri interessi strategici. 

Una potenza del diritto, ma non della decisione. E così, nei momenti cruciali, l’Europa resta spettatrice. Reagisce, ma non guida. Si muove, ma raramente decide. Nei giorni scorsi, Mario Draghi lo ha detto con la chiarezza che solo chi conosce a fondo le istituzioni può permettersi: l’Unione è arrivata al bivio. 

E sul punto, aggiungo che oggi l’Unione europea ha solo due strade effettivamente percorribili: scegliere di tornare al suo perimetro originario — un grande mercato regolato, custode delle quattro libertà e poco più — oppure compiere finalmente il salto federale. 

In altri termini: o accetta di restare una costruzione fondata sul diritto internazionale, dove gli Stati membri restano sovrani e Bruxelles funge da tavolo di coordinamento, oppure si trasforma in una vera comunità politica fondata su principi di diritto costituzionale, capace di agire in nome dei cittadini europei e non soltanto dei loro governi. 


La differenza è tutt’altro che astratta. Significa scegliere se l’Europa debba continuare a dipendere dagli Stati Uniti per la propria sicurezza, o se voglia dotarsi di una difesa autonoma. Significa decidere se affrontare la transizione energetica e digitale come ventisette strategie nazionali in concorrenza tra loro, o come una grande strategia comune. 

Significa capire se vogliamo essere una potenza o un mercato regolato. Il Trattato di Lisbona è stato il compromesso giusto per un’altra epoca, ma oggi non basta più. 


Le sfide del XXI secolo — la geopolitica, il clima, la tecnologia, la sicurezza — richiedono decisione politica, non solo armonizzazione giuridica. Continuare a galleggiare tra diritto internazionale e diritto costituzionale, tra cooperazione e integrazione, significa accettare un destino di irrilevanza. L’Europa non ha più il lusso dell’ambiguità. 

Deve scegliere se diventare una potenza costituzionale o rassegnarsi a essere un funzionario del mercato globale. Non servono nuove clausole, né riforme minori. Serve coraggio politico, quello che i padri fondatori ebbero quando decisero che la pace e la prosperità dovevano nascere da istituzioni comuni, non da trattati temporanei.

Il tempo dei compromessi è finito. L’Europa o sarà federale, o non sarà. 

Vincenzo Maria Scarano

Avvocato, docente di Diritto Ue presso l'Università degli Studi Guglielmo Marconi

Gli eroi della nostra prima giovinezza ci lasciano

Negli ultimi giorni diverse persone note ci hanno lasciato. Erano volti familiari che entravano nelle nostre case tramite la tv e che in qualche modo ci tenevano compagnia.

Io sono della generazione nata alla fine del ventesimo secolo. Per noi questi personaggi erano un po' i nostri eroi e si legano alla nostra età verde.



Giovanni Galeone: a Pescara, ma non solo, il suo nome equivale a quello di un vero e proprio eroe, a cui dedicare una statua o intestare piazze, vie, monumenti e stadi.

Il tecnico di Udine rappresenta un ricordo caro nella mente di tanti, nella città del Vate, legato in buona parte a quel periodo storico tra la seconda metà degli anni '80 e i primi anni '90.

All'epoca l'economia cittadina, come quella del resto d'Italia, era molto vivace. I negozi e le industrie del posto prosperavano e le tasse non avevano ancora raggiunto i livelli folli di adesso.

Questo si rifletteva anche sullo sport. La Sisley Pescara ad esempio, club di pallanuoto guidato dall'imprenditore Gino Pilota, vinse nel 1986-1987 il campionato e nel 1987-1988 la Coppa dei Campioni.

Galeone ha scolpito nelle pietre e nei cuori di Pescara il proprio nome in maniera indelebile, grazie ai risultati ottenuti: 

il primo posto in serie B nel 1986-1987 con una squadra retrocessa l'anno prima e poi ripescata;

l'unica "salvezza" in serie A l'anno dopo;

il secondo posto in serie B con conseguente nuova promozione nella massima serie nel 1991-1992.

Galeone inoltre entrò in sintonia con l'ambiente per il suo carattere Bohemienne: appassionato di letture colte, amante della vita notturna, si trovò a suo agio con una città non tanto grande ma con molto movimento, che affacciandosi sul mare era e resta una meta turistica di tutto rispetto.

Tale rapporto è rimasto saldo fino alla fine, tanto che "Il Gale" ha chiesto di essere cremato e che le sue ceneri vengano sparse nel mare di Pescara.

Oltre ai discreti risultati sportivi, conseguiti in altre piazze come la sua Udine per esempio, Galeone si fece conoscere per il suo calcio sbarazzino e divertente, votato all'attacco e inizialmente rivoluzionario, quando in Italia dominava il difensivismo.



Andrea De Adamich: pur non essendo io un cultore dei motori e della Formula 1, ricordo nitidamente le tante domeniche in cui in tarda mattinata il suo programma Grand Prix mostrava con grande passione tutte le novità in merito. Esaltante era la sigla, ancora oggi nella mente di molti, scritta ed eseguita da Augusto Martelli.

De Adamich, come Giancarlo Baghetti, aveva trascorsi importanti in Formula 1 e la tv aveva messo bene a frutto le sue competenze.





James Senese: figlio di un soldato Afro-Americano e di una donna Napoletana e nato alla fine della seconda guerra mondiale, ha rappresentato con il suo stesso aspetto fisico la sintesi tra due mondi.

Anche la sua musica esplorava l'incontro tra varie culture. Del resto negli anni '70 a Napoli fiorirono giovani artisti dalla grande estrosità e dotati di una certa tecnica sugli strumenti: lui, Tullio De Piscopo,  Enzo Avitabile, Tony Esposito, Pino Daniele, i fratelli Bennato, gli Osanna, ma la lista potrebbe essere ben più lunga, magari estendendosi anche ad altri generi musicali.





Paolo Bonacelli: a volte il talento emerge dalle realizzazioni più piccole, come un semplice spot pubblicitario. Mi ricordo la sua pubblicità del caffè Splendid in cui la famiglia, coalizzata contro di lui, voleva appunto cambiare marca: - E adesso come la mettiamo? - faceva la moglie. - La mettiamo in dispensa - rispondeva lui.

Attore molto solido di teatro, lavorò parecchio anche nel cinema. Tuttavia forse l'unica pellicola dove lo possiamo vedere protagonista è: Salò o le 120 giornate di Sodoma. Purtroppo si tratta, al di là del messaggio ideologico, di un film estremamente osceno, per cui non è adatto a tutti.

Io però ricordo Bonacelli in Fuga di mezzanotte, Non ci resta che piangere, Johnny Stecchino. Quest'ultimo ebbe un successo enorme ed è forse il film più riuscito di Benigni. 

Di Bonacelli si ricorda tra l'altro il suo discorso sui problemi della Sicilia, in cui volutamente omette la mafia, come se non esistesse, concentrandosi sul traffico, sull'Etna e sulla siccità.





Giorgio Forattini: le sue vignette sbattute in prima pagina spopolavano tra gli anni '80 e '90. Disegnava i politici spesso nudi. Spadolini era un suo bersaglio frequente, con la sua obesità debordante. Aveva il coraggio di andare contro la linea editoriale se necessario e questo gli costò la fine della sua collaborazione con La Repubblica per una vignetta su D'Alema pubblicata nel 1999.

Tuttavia fu Panorama a valorizzarlo maggiormente: gli dava spesso intere copertine da riempire con una sua vignetta, oltre ad utilizzarne altre tra un articolo e l'altro. Inoltre, essendo un rotocalco, aveva un tipo di carta e di inchiostro che gli permettevano di disegnare a colori e con una qualità grafica irraggiungibile per un quotidiano.





Mauro Di Francesco: devo dire la verità, non sono un suo grande fan. Eppure a cavallo tra gli anni '80 e '90 era uno dei comici che andavano per la maggiore e quella comicità un po' commerciale ha accompagnato la mia infanzia. 

Una delle scene più belle che lo riguardano si trova in "Sapore di mare 2 - Un anno dopo". 

La sua donna lo abbandona e lui esclama:

- Sei andata via Alina? E chi se ne frega! - 

La sua voce però si fa tremante, sul suo volto splende il sole del tramonto e lui si infila gli occhiali da sole per nascondere le lacrime.

Io lo ricordo però anche in "Aitanic".  In quel musical anche Di Francesco canta: su una nave, in una sorta di coreografia, si fronteggiano, con due gruppi contrapposti, Italiani del Nord e del Sud. Le musiche sono belle in quel film, forse un po' bonario ma divertente. 


domenica 2 novembre 2025

Troppo forte il Palermo, il Delfino si inabissa: 5 a 0 al Barbera



Nella foto: Niccolò Pierozzi, fratello gemello di Edoardo, ex giocatore del Pescara



Lo Stadio era una muraglia umana, stasera a Palermo. Le coreografie per i 125 anni dalla fondazione del club hanno regalato emozioni e rappresentano la parte bella del calcio, in cui una comunità si unisce nello sport.

L'entusiasmo e la generosità di una città calorosa e comunque grande hanno sospinto una squadra già forte verso una vittoria schiacciante.

I biancazzurri per quindici minuti hanno creato problemi all'avversario, che poi ha iniziato a giocare per davvero. Da quel momento non c'è stata storia.

Le azioni salienti

Dopo un gran colpo di testa di Di Nardo, il Pescara crea ancora pericoli al 23' quando per un attimo la porta rimane sguarnita, ma Caligara non trova il tempo giusto per far passare il pallone, che viene ribattuto sulla linea.

Al 27' a un fallo laterale seguono vari tocchi rapidi al volo, che terminano col tiro di Pierozzi: 1 a 0 per il Palermo.

I Rosanero dilagano nel secondo tempo: colpo di testa di Segre su cross di Pierozzi per il raddoppio.

Segue poi il palo di Pohjanpalo, con il portiere Desplanches battuto che si ferma a guardare lo scorrere del pallone. 

Chiudono il sipario poi Brunori, ancora Pierozzi e Diakitè per un 5 a 0 pesantissimo che purtroppo rispecchia la differenza di valori tecnici sulla carta e in campo.

Conclusioni e dichiarazioni del dopopartita

Oggi ha finalmente trovato posto Brandes nel Pescara e ha disputato una bella partita a centrocampo. Insieme a lui Di Nardo, attaccante, ha dato una buona prestazione creando pericoli ma difendendo ed uscendo dal campo stremato.

Sul Palermo c'è poco da dire: è una della favorite per la vittoria del campionato ed è guidata da un ormai esperto Filippo Inzaghi.

A fine gara, il Presidente del Pescara Sebastiani ha detto che è stufo di fare figuracce, che la squadra corre troppo poco e che bisogna lavorare di più.

Gli ha fatto eco Capitan Brosco, che, come si suol dire, "ci ha messo la faccia" davanti ai microfoni: "Ha ragione il presidente, dobbiamo correre di più e torneremo al lavoro un giorno prima. Ci parleremo tutti insieme e troveremo una soluzione".

Il Mister del Palermo Inzaghi ha detto che: "Siamo stati bravi, la squadra ha fatto quello che doveva dare, abbiamo dato intensitá alla gara. Non ci dobbiamo montare la testa. Se siamo quelli di stasera daremo filo da torcere a tutti gli avversari".

I tifosi del Pescara sono stati splendidi: sono andati in 300 a Palermo, a mille chilometri da casa e hanno cantato i loro cori di supporto anche al termine della gara. Lo sport stasera ha vinto comunque.

Di sicuro la rabbia, mista all'esperienza e all'empatia paternalistica del presidente Sebastiani si faranno sentire durante la settimana prossima coi suoi ragazzi, sperando che sortiscano effetto.