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mercoledì 13 gennaio 2010

La simbologia di Gerardo Iorio: inquietudine ed esaltazione del vivere contemporaneo

C'è una distinzione sottile che riguarda il percorso dell'uomo nella dimensione temporale. Si vivono le proprie esperienze, si consegnano le proprie azioni ai posteri.

Alcune rimarranno nella memoria di qualcuno o rivivranno in citazioni di vario genere, altre saranno destinate all'oblìo. Fare parte, però, di un determinato periodo storico non vuol dire esserne parte attiva; bisogna saper interpretare ciò che succede attorno ed apportare un contributo valido, indicando vie d'uscita ai problemi della vita comune.

Gerardo Iorio dal canto suo, nel corso di vari decenni di carriera artistica, mantiene il punto su alcune tematiche che riguardano il nosro tempo. Se prendiamo a caso un quadro degli anni'80 ed uno recente noteremo che hanno la stessa carica emotiva in grado di squarciare il velo sull'inerzia e l'incuria dell'uomo moderno.

Quest'ultimo è infatti inerte, e non pone correzioni ad un progresso che contiene in sè anche un'involuzione. Iorio appartiene a quella generazione che ha visto coi propri occhi la crescita industriale del nostro paese, il passaggio da una società contadina ad un'altra con valori diversi, urbanizzata, sempre più platonica nei confronti della natura e della vita.

Lo scempio operato a danno della flora e del regno animale, il barbaro disinteresse autodistruttivo sono portati alle estreme conseguenze nella simbologia pittorica dell'autore. Egli non ha scordato il periodo di paura della guerra fredda in cui si paventavano esplosioni nucleari in grado di fare "tabula rasa" sia della modernità che della natura. Un punto di non ritorno che che nessuno si augura, e che induce a immaginare la rappresentazione del paesaggio post-moderno.

Ecco dunque raffigurati deserti, come quelli prodotti negli anni'70 .Pianure desolate in cui un viandante con mantello attraversa un buio suggestivo e metafisico. Un blu notte che avvolge tutto in una sinistra dolcezza.

L'uomo si ripara dal freddo dei sentimenti e della solitudine, in una notte di cui non si conosce la durata: poche ore oppure l'eternità. Sullo sfondo si stagliano paesi diroccati, quasi confusi fra le rocce, che si contorcono come piante appassite prive di sole.

Più vivide sono le opere recenti, in cui la desolazione si mescola ad esplosioni di giallo, arancione e rosso, i colori di un sole che a volta induce all'ottimismo e si fa risorsa per l'uomo, ma che in altri casi diventa quasi la rappresentazione di una esplosione enorme.

Questa grande combustione torna a far diventare il nostro pianeta, come milioni di anni fa, una grande sfera infuocata. Da quel corpo incandescente vennero fuori però l'acqua e la vita, e quindi anche da questo fuoco è possibile ricominciare.

L'uomo contemporaneo annichilito dal suo sbagliato modo di vivere, dall'inquinamento, dalle ciminiere e dai gas dei mezzi di trasporto, attende l'alba di un nuovo giorno. E proprio la liberazione incontrollata di una fonte di energia distruttrice e al tempo stesso catartica, dà il via alla nascita dell'uomo nuovo.Una rinascita che si sostanzia in nuove forme. Capita così, nell'immaginario di Iorio, che un albero partorisca uova da cui vengono fuori neonati.

Tali infanti sono ibridi come le piante, ovvero non hanno sesso e solo in un secondo momento si evolveranno in modo da ripopolare la terra, agendo in maniera più rispettosa, proprio perchè figli degli alberi. E' un rituale di riconciliazione tra il genere umano e la natura, che vincedo su di esso senza vendicarsi, torna a rivestire il suo ruolo di madre. Altre varianti di questo tema sono la donna che si fa tronco, mettendo radici sulla sua terra. La ragazza rinuncia ad inseguire sogni poco concreti, che volano come gabbiani attirati da un sole che potrebbe confondere.

L'esaltazione per la modernità infatti sembrava limpida e legittima ma ha poi ingannato l'uomo.Un altro legame forte nei quadri di gerardo Iorio è quello tra gli alberi e gli uccelli, che vi nidificano abitualmente per poi spiccare il volo verso terre lontane. Nella visione post-moderna e riformatrice di Iorio essi si fondono, in un ideale equilibrio tra ali e radici, entrambe indispensabili per l'equilibrio del pianeta: radici per non farci perdere la concretezza, il senso del reale e il rispetto per ciò che ci circonda. Ali per guardare lontano, riprendere fiducia dopo gli errori fatti e poi ricominciare.

Si può dire, in definitiva, che nello sconfinato panorama pittorico di Gerardo Iorio non esiste un inizio e una fine: proprio come nella filosofia di Parmenide, c'è una ciclicità delle forme viventi e inerti. Esse si modellano, si espandono per poi ritornare a fondersi in un tutt'uno, un "apeiron" da cui nascono nuova vita e nuovi stimoli per un genere umano migliore.

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