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lunedì 8 ottobre 2012

A Pescara come altrove, il dio pallone ci rende una società malata

Con l'avvento del Pescara in serie A, gli scenari di guerra che si registravano in occasione delle partite si sono ingranditi.

Ieri, il match con la Lazio costituiva un evento più rischioso del solito, vista la rivalità tra le tifoserie.

La polizia, il prefetto, e le altre forze dell'ordine dispiegate nelle strade, hanno svolto un buon lavoro di prevenzione che ha prodotto i suoi effetti.

Il discorso da affrontare però è un altro: è normale che venga bloccata mezza città e che vengano impiegate centinaia di unità di polizia per una partita di calcio?

Tale domanda vale per Pescara come per altri posti.

Attorno allo Stadio Adriatico viene montato e smontato, per ogni partita, un secondo cancello, una sorta di cinta muraria aggiuntiva.

Non sono in discussione solo le spese che tutto questo comporta per la collettività. Dobbiamo mettere in dubbio, principalmente, il nostro grado di civiltà.

Se ogni fine settimana ci sono in uno stadio centinaia di imbecilli pronti a dare sfogo alla violenza, vale la pena continuare a gestire il calcio in questa maniera?
Ci indigniamo di fronte al fanatismo islamico, ad esempio, e a chi brucia una bandiera occidentale in risposta a delle vignette satiriche o a un film underground.

Poi però ci sembra normale che in una città girino uomini armati, come se fossimo in guerra, per una stupida partita di calcio. 

Ci siamo talmente abituati che tutto ci sembra a posto, che qualche pugno in fondo, non debba far fermare tutto. Anche quando ci sono stati dei morti erano in tanti a sostenere che bisognava andare avanti lo stesso.

E proprio a Pescara, mentre Morosini veniva trasportato cadavere in ambulanza per un infarto, ci fu un tale che richiamò l'attenzione dei giocatori biancazzurri per dirgli che facevano schifo, perchè avevano preso due goals.

Gli italiani, e non solo loro, devono reimpostare il loro modo di vivere il calcio, a cominciare dalle urla durante la partita, dal modo di discutere durante la settimana, dalla maniera dei giornalisti di impostare le trasmissioni televisive.

Oggi sembra quasi che passi tacitamente il principio che le cose si cambino con qualche decreto del governo di turno. Non è così, o almeno lo è solo in parte.

Una forte spinta collettiva, a cambiare il modo di intendere la vita e di approcciarsi ad ogni cosa, servirebbe molto di più a renderci felici, rispetto all'ansia che abbiamo per falsi valori. C'è il dio denaro, ma anche il dio pallone, per cui ci si vende, ci si uccide, si contrattano voti alle elezioni, si asseconda tacitamente il principio che l'ignoranza e l'onestà vengano premiate più del lavoro umile e serio. Tanti genitori spingono i figli a fare i calciatori o le ballerine televisive, piuttosto che farli studiare o apprendere un mestiere. 

Il pallone è la cartina di tornasole di un occidente estremamente volgare e grasso, di un mondo aggressivo in cui si osannano emeriti idioti che sputano in campo, truccano le partite, si picchiano per un rigore non concesso.

Il calcio deve regredire, le telecamere si devono spegnere, gli stadi si devono svuotare. Senza calcio il mondo va avanti anche meglio. E prosegue il suo corso ancora meglio con un calcio semidilettantistico, forse l'unico compromesso sano possibile.

andrearusso1979@hotmail.it

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