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giovedì 26 febbraio 2009

Politica nazionale- Veltroni lascia, ma è una sconfitta per tutti

Adesso i colonnelli del partito-accozzaglia saranno contenti. Hanno fatto fuori il leader da loro stessi eletto pochi mesi prima.
Sin dall'inizio, non gli hanno dato modo di creare un piano organico di creazione e ristrutturazone di una coalizione priva di guida e coesione.

L'equilibrismo di far coincidere il postcomunismo, il socialismo, il cattolicesimo, il laicismo borderline dei radicali e di rapportarlo al garantismo di Di Pietro era una missione quasi impossibile, attualmente.

Veltroni ci ha messo del suo, dimostrando scarso coraggio, poca verve, poca comunicatività.
Inevitabile l'esito.
Rimane un dato di fatto: i partiti che vincono sono quelli di destra, che hanno leaderships indiscusse. Lo stesso Casini, che ha corso da solo alle ultime eezioni nazionali, ha superato il difficile sbarramento del 5% che dava diritto ad entrare in parlamento.
Lo stesso partito di Di Pietro sta riscuotendo un certo successo elettorale anche per il fattore leadership (che non è messa minimamente in discussione) .

Diviso nel suo interno, e non aiutato certo da un Di Pietro che "spariglia" per accaparrarsi il ruolo di vera "opposizione al governo", il centrosinistra implode.
Perde l'Italia intera, così: per tutti, c'è bisogno di una opposizione degna di questo nome, affinchè ci sia il controllo adeguato alle azioni di governo che in tutti i paesi non può mancare. E' sempre auspicabile, in una democrazia, che una fazione non prevalga troppo. Ovviamente, sto parlando di successi elettorali che arridono al centrodestra e non delle accuse ridicole di dittatura che vengono mosse a Silvio Berlusconi.

La demonizzazione di Berlusconi lo ha ingigantito e rafforzato.
Di questo Veltroni se n'era reso conto ed era corso ai ripari, con un generale invito a moderare i toni.

Piccola parentesi su Di Pietro
Di Pietro , a mio avviso, è un fuoco di paglia. Sorvolando sulla presunta aura di onestà del suo partito (che a dire il vero, scricchiola già), il buon Tonino raccoglie voti perchè appare più deciso agli occhi degli anti-berlusconiani.
Non importa cosa Berlusconi proponga, l'importante è contestare a prescindere e accrescere i voti.

A lui va addossata, in nome del mero tornaconto di partito, la responsabilità di una ulteriore frattura interna alla sinistra.

Nè è possibile, per lui, una svolta al centro, vista la scarsa sintonia con Casini.
Di Pietro non andrà lontano, e la crescita dell'Italia dei Valori è solo momentanea.

Non ha un particolare acume politico, insulta il capo dello stato, scende in piazza con Travaglio, Grillo e la Guzzanti che spara a zero contro il papa.
Non ha mai espresso una linea chiara e programmatica sulle più grandi tematiche economiche e sociali, non ha mai stilato piani di rilancio industrale per l'Italia, non ha mai parlato di ecologia, di risorse energetiche e di tante altre cose ancora.
Ha fatto il ministro della Giustizia nel primo Governo Prodi e si è dimesso dopo pochi mesi, è stato ministro delle infrastruture senza brillare particolarmente.
Sull'indulto, al momento delle votazioni si è dimostrato contrario, ma prima aveva avuto delle aperture, con delle condizioni: l'indulto non doveva essere esteso ai reati finanziari e ad altre tipologie di reato. I suoi alleati non le accolsero e questo lo spinse definitivamente a votare contro.

Di Pietro ha avuto i suoi meriti ai tempi di Mani Pulite, questo è da riconoscerlo.
Fare politica però è un'altra cosa, e ben lo sanno i polacchi, che hanno archiviato da tempo il mito del sindacalista Lech Walesa. Dopo averlo eletto presidente, ne saggiarono l'incapacità di far fronte alle complesse decisioni che uno statista deve prendere, tanto che alle elezioni del 2000 la sua lista non ottenne nemmeno un seggio in parlamento.
Walesa fu ripreso anche da papa Woytila, che lo bacchettò duramente: i sindacati non devono fare politica.

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