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mercoledì 5 marzo 2014
La Grande Bellezza tra il vecchio, il nuovo e ciò che è immutabile
Ieri, per la prima volta, Mediaset ha proposto, in chiaro (ovvero senza strumenti di tv a pagamento) il film fresco di premio Oscar "La Grande Bellezza".
Il regista Paolo Sorrentino ha voluto fare, nel suo tipico stile, il remake della "Dolce Vita". E in effetti vengono riproposti, in chiave attuale, gli stessi elementi: feste danzanti, vizi notturni, personaggi celebri tra cui è possibile distinguere chi si è fatto da solo e chi appartiene a ceti borghesi e nobiliari storicamente abbienti o comunque facenti parte di cerchie elitarie.
Tutti chiedono al protagonista Jep, interpretato da Tony Servillo, perchè, dopo l'unico libro che ha scritto e che gli ha dato il successo molti anni addietro, lui non abbia pubblicato più niente.
E' una domanda che ricorrerà per tutto il film e sebbene, come è normale, gli artisti cerchino di dare delle spiegazioni complesse e di intorbidire nei meandri della loro fantasia e dei loro pensieri risposte che sono semplici, la verità è elementare e ancor di più banale.
Lui dice di non aver trovato "La Grande Bellezza", che la sua vità è il "Nulla" e non si può scrivere un romanzo sul nulla. La verità più spicciola e concreta è che Jep è un vizioso, che si è lasciato andare ai piaceri della vita e se lo può permettere perchè ha raggiunto uno stato di benessere materiale.
Per quanto riguarda l'intera costruzione del film, proprio come nella "Dolce Vita" si assiste ad un susseguirsi di eventi senza una trama vera e propria. Tra fatti seri e feste di lusso c'è gente fricchettona che si lascia andare in pose addirittura demenziali e che sniffa talvolta cocaina, mostrando il suo vestito esotico e il suo ultimo lifting.
Difetti
Secondo chi vi scrive, La Grande Bellezza non è un capolavoro. E' senz'altro un buon film, con degli spunti sagaci, tanti attori d'alto livello e un certo senso estetico. E' ovvio però che nel momento in cui esso cerca di ricalcare La Dolce Vita, con ambientazioni e situazioni simili, finanche l'incontro notturno con le prostitute e la stessa sortita in Via Veneto, l'effetto deja vu è dietro l'angolo.
Inoltre la storia fa i conti con lo scarso approfondimento psicologico di alcuni personaggi: quello interpretato da Carlo Verdone ad esempio, il migliore amico di Jep, un artista teatrale insoddisfatto e un po' macchiettistico nella sua incertezza.
Nel suo ritorno al villaggio da cui era venuto ricorda un po' il padre di Mastroianni ne "la Dolce Vita". C'è una la differenza però: per l'anziano padre Roma è stata un'esperienza fugace da vivere per trasgredire di quando in quando, per l'altro si è trattato di una ricerca di gloria e di realizzazione, di un progetto di vita che non si è concluso bene.
Poi c'è il personaggio di Sabrina Ferilli: nel film è la figlia di un gestore di night club, che lascia intuire un passato burrascoso di cui però viene a galla pochissimo. Ha un atteggiamento disincantato verso la vita, ma sarebbe il caso di andare più a fondo. Invece, all'improvviso, muore, dicendo un attimo prima di essere malata.
Eppure, per come appare all'occhio della telecamera, è perfettamente in salute e si esibisce nello strip tease mostrando il proprio corpo seducente, sebbene secondo la sceneggiatura abbia già 42 anni.
E ancora qualcosa di fastidioso lo possiede una specie di Madre Teresa di Calcutta che viene ospitata da Jep in un suo viaggio a Roma. Ha un aspetto grottesco e un'espressione del viso stupida, nonostante sia una donna da tutti riconosciuta sotto un'aura di santità e riverita da tutti.
Il regista, insomma, non le conferisce l'unica cosa che dovrebbe essere rilevata: una donna suora, vecchia e rugosa, che ha scelto la povertà con coraggio, non risulta credibile se, al di là del suo aspetto fisico, non comunica un senso di decoro e una dignità nel viso.
C'è in lei invece qualcosa di repellente che ricorda il Superciuk del fumetto Alan Ford o altre figure fumettistiche, che stride con l'immagine nobilissima di una donna che, sfidando la vecchiaia, sale in ginocchio una scalinata considerata santa dai cattolici.
E anche due battute che ella dice, che dovrebbero essere ad effetto, non sono poi questo granchè. "Lo sa perchè io mangio solo radici? Perchè le radici sono importanti" - confida a Jep.
Pregi
Uno dei momenti più brillanti del film è il momento in cui Jep reagisce alle critiche sferzanti di un'amica: nel monologo di Tony Servillo c'è una critica lucida di certi cosiddetti vip e intellettuali radical-chic che si sentono persone civilmente impegnate, che usano come un randello la propria meternità o paternità come se solo loro fossero padri o madri, che ostentano meriti che non hanno e che omettono il fatto di essere stati avvantaggiati da conoscenze importanti e di essersi fatti strada con mezzucci.
Il vantaggio morale di Jep su di loro è il fatto che lui, conscio della pochezza sua e di chi lo circonda, non si prende sul serio e si perde in cose effimere per rendere tollerabile la propria vita.
Sorrentino dà modo di esprimersi nel pieno delle sue potenzialità un fuoriclasse come Servillo, la cui fama cinematografica è partita proprio dai films del regista partenopeo.
Il connubio si rinnova in questa pellicola in cui la maschera rugosa dell'attore Casertano, ex allievo di Luigi De Filippo deborda. Ha un sorriso istrionico, dionisiaco, mentre il suo modo di fare e alcune terminologie giovanili lo rendono molto comprensibile per i giovani.
Eppure in lui c'è anche l'indole filosofica propria dei campani, una tradizione che si perpetua sin dai tempi della Magna Grecia. Nè manca, a Servillo la capacità di rappresentare il "Piger Campanus" di latina memoria che va bene a braccetto con il vizio e con la battuta di spirito.
In "la Grande Bellezza" c'è un grande sforzo, sia creativo che in termini di investimento economico. Prima ancora che il film vincesse l'Oscar era già pronto lo spot di Sorrentino che va in giro per Hollywood a bordo dell'ultimo modello della Fiat 500.
L'ottimo regista e il suo cast sontuoso di attori italiani, grazie all'ambita statuetta e ai vari premi conseguiti in giro per il mondo, diventeranno molto più internazionali di quanto fossero prima.
Eppure, nonostante tutto questo, il 50% del lavoro è stato svolto da Roma.
E se è vero che le immagini bisogna saperle catturare, è altrettanto chiaro che gran parte della fascinazione esercitata dal film è data dagli scenari in cui si muove il protagonista: colonne classicheggianti, monumenti famosi, la terrazza di Jep davanti al Colosseo, la vista della Cupola di San Pietro in varie scene;
e ancora: alcuni musei, la già citata Via Veneto. Vi sono poi palazzi antichi, residenze con stanze ariose e un po' gelidamente museali che danno poco il senso del calore di un focolaio domestico: giustamente, tra gaudenti, cocainomani, gente dedita alla trasgressione, la normalità tranquillizzante dei lavoratori morigerati e delle loro famiglie è assente.
Decadenza senza tempo
Allo stesso modo in cui La Dolce Vita non rappresentava il proprio tempo, perchè si focalizzava sulle elite che storicamente sono avulse dalla vita delle persone comuni, così La Grande Bellezza non racconta la realtà di oggi.
Quand'anche si volesse accostare la decadenza dei costumi dei protagonisti con la crisi economica di un'Italia che si affloscia sui suoi vizi e sulle sue mediocrità, i personaggi in questione sono categorie immutabili e immutate dagli anni '60 del boom economico alla lunga crisi dei nostri giorni.
Andrea Russo
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