I produttori italiani non amano l'arte, ma solo il profitto. La vicenda artstica di Massimo Martella
ne è una dimostrazione.
Vincitore di un premio Kodak della stampa alla biennale di Venezia per la migliore opera prima con "Il tuffo", non ha avuto la fortuna di avere produttori che promuovessero il suo lavoro nelle sale. Solo poche persone hanno potuto vederlo in tv grazie a Fuori Orario, che è uno dei pochi programmi italiani dedicati al cinema d'autore.
E' seguita, a breve distanza da "Il Tuffo", la seconda fatica di Martella: "La Prima volta" è una panoramica sugli intrecci amorosi di alcuni adolescenti romani.
Sia il primo che il secondo film sono due capolavori: colpisce lo stile intimista e poetico. Inoltre il realismo e la naturalezza delle scene ricorda quasi Pasolini. L'autore però se ne distacca sia per i temi a lui cari che per il suo atteggiamento di spostare l'attenzione su particolari meno crudi.
Ignorato dalla grande distribuzione, "La prima volta" non è stato visto nelle sale, ed ha continuato a circolare in home video e in tv, nelle ore notturne.
Ieri Rete 4 lo ha riproposto nella serie "I bellissimi", intervallandolo con 45 minuti di interruzione per la lettura dei giornali. Fa rabbia il fatto che gli artisti migliori, nel cinema, spesso non riescano ad esprimersi o a crearsi una visibilità.
Martella adesso lavora nel mondo delle Fiction: In "Ris" e "Distretto di Polizia" c'è il suo lavoro di co-autore e di supervisore.
Del 2000 è la sua sceneggiatura per il film: "L'ultima lezione", di Franco Rosi, incentrato sugli ultimi anni di vita e sulla scomparsa misteriosa dell'economista Federico Caffè.
A mio parere, Massimo Martella è uno dei migliori registi italiani in circolazione, e sebbene questo primato gli sia riconosciuto solo dalla critica più attenta, un'altra leadership assoluta gli grava addosso: quella dell'artista più incompreso della nostra settima arte.
Come in tutte le altre arti, il cinema più elevato richiede un pubblico più istruito.
Sarebbe d'aiuto però una maggiore promozione da parte degli stessi produttori.
Del resto i film di Fellini ancora oggi, per molti, sono deliranti.
Nonostante questo hanno trovato la strada del successo a dispetto di ogni calcolo commerciale.
In passato i produttori hanno percepito finanziamenti statali per la creazione di nuovi film.
E' avvenuto, però, che molti di essi abbiano intascato i soldi avanzati senza preoccuparsi di distribuire adeguatamente le proprie pellicole e di farle conoscere. In pratica, il regista e i suoi collaboratori sono spesso stati manipolati solo per intascare denaro pubblico. Anche se da qualche anno la legge sugli emolumenti al cinema è cambiata, la mentalità è sempre la stessa.
Messa da parte questa parentesi polemica, cito brevemente le trame dei due ottimi film di Massimo Martella
Il tuffo.
Un insegnante di Terni, assai poco emancipato, privo di una vita sentimentale e succube dei genitori anziani, si trova a fare ripetizioni a due ragazzi totalmente differenti.
Lei è esuberante e sorridente, lui è taciturno e ombroso.
I tre, nel corso della calda estate trascorsa tra la campagna e il mare, impareranno a conoscersi, e tra i due ragazzi nascerà l'amore.
L'insegnante, impersonato da Vincenzo Salemme (prima che questi si desse al filone commerciale), imparerà ad abbattere un po' gli steccati della sua personalità involuta e ad avere più coraggio.
La prima volta
Sketches riguardanti coppie di giovanissimi.
Sullo sfondo paesaggi urbani dismessi e un po' desolanti.
-Una coppia di ragazzi proletari alle prese con i rispettivi padri un po' beceri convolano, con grande coraggio, alle nozze.
-Un ragazzo di borgata e una ragazza altolocata fuggono da casa, occupando un casolare abbandonato.
-Un fratello maggiore, che pretende di sostituirsi ai genitori nella educazione del fratello minore, viene tradito con questi dalla propria ragazza. Alla fine intuisce il tutto, ma, dopo qualche secondo di riflessione, la rabbia cede all'orgoglio di aver spinto indirettamente verso l'età adulta il proprio protetto.
-Una commessa alle prime armi viene adescata dal proprietario del negozio, facile preda, nella sua insicurezza quasi inconsapevole, degli uomini "piccoli" che violano il valore di una giovinezza priva di macchia.
-Infine un playboy in erba soffre per l'amore di una ragazza altrettanto furba .
Scoprirà però di possedere sentimenti più profondi tramite una coetanea timida e impacciata, che cerca disperatamente qualcuno che le dia affetto.
Avvertenza
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E' pertanto dispensato dalle regole riguardanti la stampa nei periodi elettorali.
sabato 31 maggio 2008
venerdì 30 maggio 2008
Musica - Bugo
Era inevitabile: Chirstian Bugatti doveva venir presto fuori. E così è stato.
Lo si capiva già negli ultimi anni, quando piano piano i media e i network musicali iniziavano ad interessarsi a lui.
Casalingo, mandata in onda poche volte, e a orari assurdi, conquistava subito l'ascoltatore con il suo approccio minimalista, l'orecchiabilità del brano, l'arguta simpatia del cantante.
Seguiva il video di "Io mi rompo i coglioni", in cui Bugo, che ha superato da un bel pezzo i trenta, sembrava un adolescente della periferia del nord (dalla quale proviene) che riportava la noia giovanile: un tema per niente innocuo, visto che è stato fonte di atti criminali o cose altrettanto gravi.
Bugo conquista, nonostante la sua aria stralunata di chi sembra essersi appena fatto un trip di sostanze.
In realtà il Bugatti, prodotto della provincia Novarese (Trecate), quando canta suscita due impressioni ravvicinate: all'inizio della canzone il suo stile sembra demenziale; poi, dopo una quindicina di secondi in genere, ci rendiamo conto della sagacia dei testi, che nel loro ermetismo sembrano non dire nulla e invece dicono tanto.
Leggero, ma sostanziale, come Rino Gaetano. Rino era Rino, però, e Bugo è Bugo, e c'è stato qualche penoso tentativo editoriale per farlo assomigliare al grande folletto calabrese.
Per guidarvi all'ascolto, c'è una certa scelta: "Casalingo", "Oggi è morto Spock", Io mi rompo i coglioni", "Gel" (con un video spassosissimo), fino alla odierna "C'è crisi, appartenente all'ultimo disco: "Contatti".
Contatti è un disco maturo, in cui ricorre spesso il tema della convivenza tra innamorati, e, sebbene non sveli l'arcano sui tempi che corrono, è un'opera decisamente attuale: non inquadra la situazione degli anni 2000 o degli ultimi tre anni: "Contatti" sembra parlare proprio del 2008, di ciò che percepiscono gli italiani del 2008.
Ci sono alcune folgorazioni anche.
"Niente è più come prima: e meno male"!
Quante volte lo diciamo, riferendoci a un passato fulgido inesistente? E invece no, meno male che qualcosa cambi, sicuramente ci sarà, oltre al peggio, anche qualcosa di meglio e di più stimolante. E se così non fosse?
Se così non fosse..." semplicemente... semplicemente.. fa niente"!
martedì 27 maggio 2008
Attualità - Mike Bongiorno ha compiuto 84 anni
84 anni e non sentirli nonostante una vita piena d'emozioni.
Mike ama raccontare della sua giovinezza e del suo periodo da partigiano, in cui rischiò la vita: i tedeschi lo presero e lo misero al muro, per fucilarlo all'istante. Poi gli trovarono addosso i documenti comprovanti la sua cittadinanza americana, e ritennero più opportuno rinchiuderlo. Fu recluso prima a San Vittore, poi per sette mesi nel campo di concentramento di Bolzano, poi ancora in Germania. Fu liberato grazie a uno scambio di prigionieri, e fu determinante, anche in quel caso, il so status di cittadino statunitense.
Lavorò, nella seconda metà degli anni '40, in una radio di New york, in un programma per italo-americani. Sarebbe troppo lungo raccontare oltre 50 anni di storia. televisiva, ovvero dall'inizio, nel 1955 , di "Lascia o raddoppia". Films, pubblicità, una sfilza interminabile di programmi televisivi, tra cui il festival di Sanremo lo hanno mantenuto, senza momenti di crisi, sulla cresta dell'onda. Tra le sue gaffe, concorrenti che baravano o che rifiutavano il premio vinto per ragioni ideologiche, c'è un repertorio enorme di immagini audiovisive stampate nelle menti degli italiani.
Io riporto solo una piccola chicca, che ho gradito rivedere di recente, nel film di Paolo Villaggio "Sogni mostruosamente proibiti"http://www.youtube.com/watch?v=U7q0fskEfP0
Mike ama raccontare della sua giovinezza e del suo periodo da partigiano, in cui rischiò la vita: i tedeschi lo presero e lo misero al muro, per fucilarlo all'istante. Poi gli trovarono addosso i documenti comprovanti la sua cittadinanza americana, e ritennero più opportuno rinchiuderlo. Fu recluso prima a San Vittore, poi per sette mesi nel campo di concentramento di Bolzano, poi ancora in Germania. Fu liberato grazie a uno scambio di prigionieri, e fu determinante, anche in quel caso, il so status di cittadino statunitense.
Lavorò, nella seconda metà degli anni '40, in una radio di New york, in un programma per italo-americani. Sarebbe troppo lungo raccontare oltre 50 anni di storia. televisiva, ovvero dall'inizio, nel 1955 , di "Lascia o raddoppia". Films, pubblicità, una sfilza interminabile di programmi televisivi, tra cui il festival di Sanremo lo hanno mantenuto, senza momenti di crisi, sulla cresta dell'onda. Tra le sue gaffe, concorrenti che baravano o che rifiutavano il premio vinto per ragioni ideologiche, c'è un repertorio enorme di immagini audiovisive stampate nelle menti degli italiani.
Io riporto solo una piccola chicca, che ho gradito rivedere di recente, nel film di Paolo Villaggio "Sogni mostruosamente proibiti"http://www.youtube.com/watch?v=U7q0fskEfP0
sabato 24 maggio 2008
Cronaca - Tracce di una sparatoria
Ieri , verso l'una di pomeriggio, stavo tornando a casa e mi trovavo in Piazza dello Spirito Santo: a pochi metri dalla chiesa, nella corsia opposta a quella dove si trova l'agenzia funebre, ho fatto un simpatico ritrovamento: al bordo della carreggiata c'era un proiettile di pistola. Dorato, con la caratteristica forma a dirigibile Zeppelin, (o se preferite, a forma di supposta), giaceva lì per terra, senza chiedersi un perchè.
Ho scattato un paio di foto e ho chiamato la polizia. Subito uno degli agenti ha ritrovato altri proiettili.
Questi però, a differenza del primo, erano esplosi, con la punta mozzata. Da quelle parti, se non proprio in quel punto, c'era stata una sparatoria.
Ho scattato un paio di foto e ho chiamato la polizia. Subito uno degli agenti ha ritrovato altri proiettili.
Questi però, a differenza del primo, erano esplosi, con la punta mozzata. Da quelle parti, se non proprio in quel punto, c'era stata una sparatoria.
Sembrerebbe che i proiettili siano gli stessi che usano i carabinieri, ma il condizionale è d'obbligo.
La pallottola trovata intera probabilmente è caduta al carabiniere durante l'inseguimento.
Politica - Il futuro dell'Abruzzo
Il futuro dell'Abruzzo: Regione dei Parchi o a vocazione industriale?
L'uomo venuto dal Nord.
Ogni tanto, quando sento parlare dell'economia abruzzese, mi torna in mente un simpatico episodio che mi è rimasto impresso nella memoria: mi trovavo al Porto Turistico di Pescara (la parola "turistico", come termine distintivo, può essere anche superflua visto che un porto vero e proprio, a Pescara, non c'è); un signore distinto, sulla sessantina, (probabilmente un uomo d'affari), elogiava la bellezza dello scalo pescarese e della mia città in generale: "ma questo è un Meridione che io non conoscevo: questa, signor, è la Svizzera!"
Se si lascia passare il fatto che in Svizzera ci sono porti turistici solo sui laghi, poichè il mare non c'è, la frase rende l'idea: Pescara non sembra una città del Meridione (a cui l'Abruzzo viene ancora oggi accomunato), ma è, a pieno merito, una delle città più ricche dell'Italia centrale.
Le nostre aziende e il nostro verde
Questo discorso è estendibile all'intera regione: lo stato di benessere generale, la cura da parte delle amministrazioni del territorio, la qualità della vita nelle città e nei borghi abruzzesi sono speriori agli standards del sud: da noi si vive bene.
Ci sono solide realtà nel campo economico: le zone industriali presenti nelle quattro provincie, il polo chimico, le aziende vinicole e agroalimentari sono solo alcuni esempi.
Importante è anche la presenza dei parchi, con un turismo naturalistico e montano che si cerca di far decollare.
Dire però ce la terra di D'Annunzio è il polmone verde d'Europa e altre sciocchezze sa di un campanilismo miope di cui molti fanno uso:
i politici per ingrandire i loro meriti, gli imprenditori del turismo e dell'agricoltura per preservare i loro affari.
In questo modo però non si contribuisce allo sviluppo della regione.
La discarica di Bussi e il fiume Aterno-Pescara ai primi posti nella classifica dei fiumi più inquinati d'Italia non si possono nascondere.
Quale modello di sviluppo scegliere?
Al di là delle disquisizioni teoriche su come realmentele cose stanno in Abruzzo, ciò che mi interessa stabilire è: quale sviluppo intendiamo dare alla nostra regione?
Dobbiamo puntare tutto sulla conservazione del nostrio territorio, slla manifattura artigianale e sul turismo, o dobbiamo puntare sul progresso industriale e tecnologico?
L'unica risposta che abbiamo dato, negli ultimi anni, a questi interrogativi è lo stallo più completo.
La terra dei no
L'Abruzzo ha detto no alla centrale Turbogas, alla centrale a Biomasse sul fiume Aterno-Pescara, al Centro Oli di Ortona (che altro non è che una raffineria)
O megli, non ha detto no: alle decsioni dei politici sono stati sempre contrapposti degli stratagemmi che ne rinviassero l'attuazione.
Vecchia storia è quella del terzo traforo sul Gran Sasso, che viene riproposto ciclicamente.
Io non sono nè favorevole, nè contrario a questi provvedimenti: non posseggo le competenze tecniche necessarie per poter emettere un giudizio certo.
Chi è favorevole, elenca le possibilità che potrebbero esserci in termini di svluppo economico e di occupazione;
chi si oppone elenca i rischi di inquinamento e di danni alla salute delle persone. Sullo sfondo, però, c'è una domanda che non ottiene risposta:
Quali sono i progetti per il nostro futuro?
Il vero problema è che la classe dirigente non ha ancora deciso cosa fare: se scegliamo la natura e il turismo, dobbiamo fare molto di più: ulteriori infrastrutture, impianti sciistici, centrali elettriche ad energia pulita (quella a bio-masse lo è), rimboschimenti, bonifiche, strategie per l'incremento dell'occupazione nei settori economici eco-compatibili.
Se invece scegliamo modelli di sviluppi tradizionali, dovremo accettarne il prezzo.
Dire sempre di no e lasciare tutto così com'è, invece, ha un solo risultato: il regresso.
Regresso in campo economico, culturale, tecnologico.
C'è bisogno di fare dei progetti e di guardare un po' oltre, a venti, trent'anni da adesso. Auspico che gli Abruzzesi abbiano, una volta per tutte, il coraggio di guardare lontano.
L'uomo venuto dal Nord.
Ogni tanto, quando sento parlare dell'economia abruzzese, mi torna in mente un simpatico episodio che mi è rimasto impresso nella memoria: mi trovavo al Porto Turistico di Pescara (la parola "turistico", come termine distintivo, può essere anche superflua visto che un porto vero e proprio, a Pescara, non c'è); un signore distinto, sulla sessantina, (probabilmente un uomo d'affari), elogiava la bellezza dello scalo pescarese e della mia città in generale: "ma questo è un Meridione che io non conoscevo: questa, signor, è la Svizzera!"
Se si lascia passare il fatto che in Svizzera ci sono porti turistici solo sui laghi, poichè il mare non c'è, la frase rende l'idea: Pescara non sembra una città del Meridione (a cui l'Abruzzo viene ancora oggi accomunato), ma è, a pieno merito, una delle città più ricche dell'Italia centrale.
Le nostre aziende e il nostro verde
Questo discorso è estendibile all'intera regione: lo stato di benessere generale, la cura da parte delle amministrazioni del territorio, la qualità della vita nelle città e nei borghi abruzzesi sono speriori agli standards del sud: da noi si vive bene.
Ci sono solide realtà nel campo economico: le zone industriali presenti nelle quattro provincie, il polo chimico, le aziende vinicole e agroalimentari sono solo alcuni esempi.
Importante è anche la presenza dei parchi, con un turismo naturalistico e montano che si cerca di far decollare.
Dire però ce la terra di D'Annunzio è il polmone verde d'Europa e altre sciocchezze sa di un campanilismo miope di cui molti fanno uso:
i politici per ingrandire i loro meriti, gli imprenditori del turismo e dell'agricoltura per preservare i loro affari.
In questo modo però non si contribuisce allo sviluppo della regione.
La discarica di Bussi e il fiume Aterno-Pescara ai primi posti nella classifica dei fiumi più inquinati d'Italia non si possono nascondere.
Quale modello di sviluppo scegliere?
Al di là delle disquisizioni teoriche su come realmentele cose stanno in Abruzzo, ciò che mi interessa stabilire è: quale sviluppo intendiamo dare alla nostra regione?
Dobbiamo puntare tutto sulla conservazione del nostrio territorio, slla manifattura artigianale e sul turismo, o dobbiamo puntare sul progresso industriale e tecnologico?
L'unica risposta che abbiamo dato, negli ultimi anni, a questi interrogativi è lo stallo più completo.
La terra dei no
L'Abruzzo ha detto no alla centrale Turbogas, alla centrale a Biomasse sul fiume Aterno-Pescara, al Centro Oli di Ortona (che altro non è che una raffineria)
O megli, non ha detto no: alle decsioni dei politici sono stati sempre contrapposti degli stratagemmi che ne rinviassero l'attuazione.
Vecchia storia è quella del terzo traforo sul Gran Sasso, che viene riproposto ciclicamente.
Io non sono nè favorevole, nè contrario a questi provvedimenti: non posseggo le competenze tecniche necessarie per poter emettere un giudizio certo.
Chi è favorevole, elenca le possibilità che potrebbero esserci in termini di svluppo economico e di occupazione;
chi si oppone elenca i rischi di inquinamento e di danni alla salute delle persone. Sullo sfondo, però, c'è una domanda che non ottiene risposta:
Quali sono i progetti per il nostro futuro?
Il vero problema è che la classe dirigente non ha ancora deciso cosa fare: se scegliamo la natura e il turismo, dobbiamo fare molto di più: ulteriori infrastrutture, impianti sciistici, centrali elettriche ad energia pulita (quella a bio-masse lo è), rimboschimenti, bonifiche, strategie per l'incremento dell'occupazione nei settori economici eco-compatibili.
Se invece scegliamo modelli di sviluppi tradizionali, dovremo accettarne il prezzo.
Dire sempre di no e lasciare tutto così com'è, invece, ha un solo risultato: il regresso.
Regresso in campo economico, culturale, tecnologico.
C'è bisogno di fare dei progetti e di guardare un po' oltre, a venti, trent'anni da adesso. Auspico che gli Abruzzesi abbiano, una volta per tutte, il coraggio di guardare lontano.
giovedì 22 maggio 2008
Viaggi - Riga, Lettonia
A Pescara, di tanto in tanto, ci soffermiamo ad osservare le facciate dei bei palazzi in stile "Liberty" del quartiere Portanuova.
Di fronte a quelli di Riga, però, ci rendiamo conto che tale corrente raggiunse ben altri livelli.
C'è da dire però, che lo stile dei palazzi di Riga non è proprio il Liberty. Liberty è un termine usato in Italia e prende il nome da una azienda londinese chiamata Liberty & co.
L'Art Noveau sta al Liberty come il Naturalismo Francese sta al Verismo.
mercoledì 21 maggio 2008
Racconti - Come si diventa Cinno
(Da Bar sport, di Stefano Benni)
Il piccolo Masotti, il primo giorno di scuola, non piangeva come tutti gli altri bambini.
Mangiava un fruttino di cotognata e si guardava intorno. Piangevano, invece, i Masotti genitori, perchè era il giorno che sognavano da anni. Il piccolo Masotti fu inquadrato con tanti bambini neri e tante bambine bianche. Il direttore, un uomo dallo sguardo severo e dai modi bruschi, li guardò sfilare tutti davanti senza una parola.
Quando passò Masotti gli disse: "Tu, aggiustati il fiocco", e fece l'atto di toccarlo: Il piccolo Masotti estrasse dal grembiulino nero una gambina secca e piena di bozzi da caduta da bicicletta, e colpì il direttore a cavallo delle braghe.
Ebbe così inizio la carriera scolasica del piccolo Masotti.
Il piccolo Masotti era figlio unico di due Masotti. Masotti padre era camionista e portava pesce refrigerato su e giù per l'autostrada: triglie giapponesi, merluzzi di Hong Kong e un rombo di Cattolica a far da guardia.
Guidava tutta la notte con la sola compagnia di un pacchetto di nazionali e una foto a colori di Ava Gardner, con autografo falso fatto dalla moglie.
Non aveva mai avuto incidenti, tolta la distruzione di un Mottagrill Pavesi nel 1968 e una caduta nel Po per la quale i pescatori della zona continuarono a pescare seppie per molti anni a seguire.
Guadagnava quanto bastava per non morir di fame, ma sognava per il figlio un futuro diverso.
Masotti madre faceva le tendine a fiori con una macchina da cucire a pedali, il casco in testa e una maglia della Legnano per non sciupare i vestiti. Le vendeva agli ospizi e ai camionisti amici del marito, per cui faceva anche la decoratrice. Prendeva un vecchio tre assi e in un giorno lo trasformava in un confortevole chalet svizzero, con vasetti di fiori, fodere con i conigietti, tappetini e, a richiesta, un abat jour sul retrovisore. Anche lei sognava per il figlio un futuro diverso.
Fu deciso che il piccolo Masotti si sarebbe laureato e avrebbe fatto l'avvocato. Fu allevato con grandi dosi di minestra e, su consiglio degli amici del bar, con giochi che sviluppavno l'intelligenza, come la battaglia navale e il meccano. Ma il piccolo Masotti non si rivelò subito nè geniale nè più avanti di quelli dell sua età.
Le sue corazzate affondavano come biscotti, e l'unica cosa che riuscì a fare col meccano fu un metro snodabile da sarto. Non leggeva Kant, non aveva orecchio per la musica, se gli si metteva la matita in mano disegnava sempre la stessa cosa, una patata, e poi si addormentava.
"E' ancora bimbo, verrà fuori", dicevano i Masotti genitori, ma erano un po' preoccupati.
Masotti padre lo rimpinzava di fosforo, e ogni tanto rubava qualche quintale di merluzzo congelato dal carico e obbligava p.M. (piccolo Masotti) a mangiarlo a merenda.
P.M. non protestava, si metteva il pesce in bocca e andava a giocare sotto il camion.
La prima pagella del Masotti fu tutta di 1, con un 3 in ginnastica. Il maestro disse che il ragazzo, si vedeva subito, era svogliato, non seguiva, e passava il tempo a intagliare con un temperino. Aveva già distrutto il suo tavolo ricavandone due zoccoli olandesi e una mazza da baseball, e doveva tenere i gomiti poggiati sulla porzione del compagno.
Le sue schegge di legno erano un pericolo mortale per la classe, perchè partivano come proiettili.
Era capace di far decollare, in un giorno, fino a duecento aeroplanini di carta, alcuni dei quali restavano in aria anche dieci minuti oscurando la visibilità.
I suoi dettati pesavano come crescenti fritte e trasudavano inchiostro e sudore.
Faceva delle a larghe come un foglio e doveva fermarsi a metà della curva.
Fu subito bocciato.
Masotti padre, per l'incazzatura, prese su e andò da Bologna a Taranto in tre ore da casello a casello, tanto che il camion si surriscaldò e arrivò a destinazione un gigantesco carico di fritto che si sparse pr la città dei due mari.
La Masotti madre non disse niente, continuò a pedalare sulla macchina da cucire, ma con l'aria triste di chi è rimasto staccato dal gruppo in salita.
Il p.M fu mandato a ripetizione dal professor Manicardi, bella figura di studioso, che lo legò alla sedia e gli lesse per 9 ore Leopardi, tutti i giorni, per tre mesi.
Il piccolo Masotti imparò a memoria la metà dell' "Infinito", poi fece la doccia e dimenticò tutto.
Fu bocciato anche qello seguente, e poi quello seguente.
Allora Masotti padre gli disse che se non si metteva a studiare non gli avrebbe più dato da mangiare.
Il p.M. accusò il colpo. Tutte le notti si sentì ripetere " Se un contadino ha nove mele e ne vende la metà....". Studiò per un mese, spostando grandi quantità di mele sul tavolo e contattando tutti i contadini della zona.
Alla fine propose come soluzione dieci mele e mezzo e una cambiale di meloni in tre rate.
Fu ribocciato.
Il Masotti padre si rassegnò. Invecchiato e con le gomme sgonfie, senza neanche più la forza di suonare il clacson, cominciò a girare in tondo sulla tangenziale senza voler vedere più nessuno.
Gli amici gli tiravano al volo panini e giornali dal finestrino, e una volta al mese una battona ex trapezista di circo si lanciava da un leoncino per tenergli compagnia.
La Masotti madre, invecchiata e incanutita, aveva smesso di pedalare e ora allenava una squadra di suore che facevano mutande carcerati.
Il piccolo Masotti, che aveva ormai diciannove anni e stazzava sul quintale, andava a scuola col suo grembiulino che gli copriva metà del torace, e la cartella con la solita vecchia matita, un mozzicone invisibile a occhio nudo, che portava a temperare da un orefice.
Andò avanti, finchè i soldi finirono.
Un giorno il piccolo Masotti aprì la cartella e non trovò la solita merenda,un panino con una cernia.
Quella sera non tornò a casa.
L'indomani, alle prime luci dell'alba, si presentò al bar.
Era nato un Cinno.
Il piccolo Masotti, il primo giorno di scuola, non piangeva come tutti gli altri bambini.
Mangiava un fruttino di cotognata e si guardava intorno. Piangevano, invece, i Masotti genitori, perchè era il giorno che sognavano da anni. Il piccolo Masotti fu inquadrato con tanti bambini neri e tante bambine bianche. Il direttore, un uomo dallo sguardo severo e dai modi bruschi, li guardò sfilare tutti davanti senza una parola.
Quando passò Masotti gli disse: "Tu, aggiustati il fiocco", e fece l'atto di toccarlo: Il piccolo Masotti estrasse dal grembiulino nero una gambina secca e piena di bozzi da caduta da bicicletta, e colpì il direttore a cavallo delle braghe.
Ebbe così inizio la carriera scolasica del piccolo Masotti.
Il piccolo Masotti era figlio unico di due Masotti. Masotti padre era camionista e portava pesce refrigerato su e giù per l'autostrada: triglie giapponesi, merluzzi di Hong Kong e un rombo di Cattolica a far da guardia.
Guidava tutta la notte con la sola compagnia di un pacchetto di nazionali e una foto a colori di Ava Gardner, con autografo falso fatto dalla moglie.
Non aveva mai avuto incidenti, tolta la distruzione di un Mottagrill Pavesi nel 1968 e una caduta nel Po per la quale i pescatori della zona continuarono a pescare seppie per molti anni a seguire.
Guadagnava quanto bastava per non morir di fame, ma sognava per il figlio un futuro diverso.
Masotti madre faceva le tendine a fiori con una macchina da cucire a pedali, il casco in testa e una maglia della Legnano per non sciupare i vestiti. Le vendeva agli ospizi e ai camionisti amici del marito, per cui faceva anche la decoratrice. Prendeva un vecchio tre assi e in un giorno lo trasformava in un confortevole chalet svizzero, con vasetti di fiori, fodere con i conigietti, tappetini e, a richiesta, un abat jour sul retrovisore. Anche lei sognava per il figlio un futuro diverso.
Fu deciso che il piccolo Masotti si sarebbe laureato e avrebbe fatto l'avvocato. Fu allevato con grandi dosi di minestra e, su consiglio degli amici del bar, con giochi che sviluppavno l'intelligenza, come la battaglia navale e il meccano. Ma il piccolo Masotti non si rivelò subito nè geniale nè più avanti di quelli dell sua età.
Le sue corazzate affondavano come biscotti, e l'unica cosa che riuscì a fare col meccano fu un metro snodabile da sarto. Non leggeva Kant, non aveva orecchio per la musica, se gli si metteva la matita in mano disegnava sempre la stessa cosa, una patata, e poi si addormentava.
"E' ancora bimbo, verrà fuori", dicevano i Masotti genitori, ma erano un po' preoccupati.
Masotti padre lo rimpinzava di fosforo, e ogni tanto rubava qualche quintale di merluzzo congelato dal carico e obbligava p.M. (piccolo Masotti) a mangiarlo a merenda.
P.M. non protestava, si metteva il pesce in bocca e andava a giocare sotto il camion.
La prima pagella del Masotti fu tutta di 1, con un 3 in ginnastica. Il maestro disse che il ragazzo, si vedeva subito, era svogliato, non seguiva, e passava il tempo a intagliare con un temperino. Aveva già distrutto il suo tavolo ricavandone due zoccoli olandesi e una mazza da baseball, e doveva tenere i gomiti poggiati sulla porzione del compagno.
Le sue schegge di legno erano un pericolo mortale per la classe, perchè partivano come proiettili.
Era capace di far decollare, in un giorno, fino a duecento aeroplanini di carta, alcuni dei quali restavano in aria anche dieci minuti oscurando la visibilità.
I suoi dettati pesavano come crescenti fritte e trasudavano inchiostro e sudore.
Faceva delle a larghe come un foglio e doveva fermarsi a metà della curva.
Fu subito bocciato.
Masotti padre, per l'incazzatura, prese su e andò da Bologna a Taranto in tre ore da casello a casello, tanto che il camion si surriscaldò e arrivò a destinazione un gigantesco carico di fritto che si sparse pr la città dei due mari.
La Masotti madre non disse niente, continuò a pedalare sulla macchina da cucire, ma con l'aria triste di chi è rimasto staccato dal gruppo in salita.
Il p.M fu mandato a ripetizione dal professor Manicardi, bella figura di studioso, che lo legò alla sedia e gli lesse per 9 ore Leopardi, tutti i giorni, per tre mesi.
Il piccolo Masotti imparò a memoria la metà dell' "Infinito", poi fece la doccia e dimenticò tutto.
Fu bocciato anche qello seguente, e poi quello seguente.
Allora Masotti padre gli disse che se non si metteva a studiare non gli avrebbe più dato da mangiare.
Il p.M. accusò il colpo. Tutte le notti si sentì ripetere " Se un contadino ha nove mele e ne vende la metà....". Studiò per un mese, spostando grandi quantità di mele sul tavolo e contattando tutti i contadini della zona.
Alla fine propose come soluzione dieci mele e mezzo e una cambiale di meloni in tre rate.
Fu ribocciato.
Il Masotti padre si rassegnò. Invecchiato e con le gomme sgonfie, senza neanche più la forza di suonare il clacson, cominciò a girare in tondo sulla tangenziale senza voler vedere più nessuno.
Gli amici gli tiravano al volo panini e giornali dal finestrino, e una volta al mese una battona ex trapezista di circo si lanciava da un leoncino per tenergli compagnia.
La Masotti madre, invecchiata e incanutita, aveva smesso di pedalare e ora allenava una squadra di suore che facevano mutande carcerati.
Il piccolo Masotti, che aveva ormai diciannove anni e stazzava sul quintale, andava a scuola col suo grembiulino che gli copriva metà del torace, e la cartella con la solita vecchia matita, un mozzicone invisibile a occhio nudo, che portava a temperare da un orefice.
Andò avanti, finchè i soldi finirono.
Un giorno il piccolo Masotti aprì la cartella e non trovò la solita merenda,un panino con una cernia.
Quella sera non tornò a casa.
L'indomani, alle prime luci dell'alba, si presentò al bar.
Era nato un Cinno.
martedì 20 maggio 2008
Racconti - Il Cinno
(Da Bar Sport, di Stefano Benni)
La spalla del barista è il Cinno, ovvero il ragazzo di bar, altrimenti detto fattorino. Il Cinno ha una bella faccia rosea bombardata di brufoli e vive in simbiosi con la sua bicicletta, la bicicletta del Cinno. Con essa il Cinno piomba come un falco in tutti i punti dela città, supera gli autobus in corsa, atterrisce i cani e sgomina i vigili. Il Cinno, nell'andare in bicicletta, ha una serie di regole fisse:
a) E' severamente vietato mettere le mani sul manubrio. Questo non solo quando si hanno le mani impegnate con un vassoio di tazze,thermos e maritozzi, ma in ogni altra occasione.
b) L'andatura di cinno deve essere altalenante, ovvero la bicicletta deve dondolare da sinistra a destra e viceversa, sfiorando il suolo, di modo che nel raggio di venti metri non si frappongano ostacoli viventi.
c) Si cade sempre e solo sulle ginocchia, qualunque sia la dinamica dell'incidente. Questo crea il famoso ginocchio da Cinno, uno dei problemi della medicina moderna. Esso è costituito da un'arcipelago di croste e crostoni, che si rigenera continuamente.
d) Mentre pedala, il Cinno canta.
e) La via normale del Cinno è costituita da : marciapiedi, portoni, androni, giardini, portici.
La strada è accuratamente evitata, perchè pericolosa e le donne sono chiuse dentro le macchine e si vedono peggio.
Tutto questo comporta, naturalmente, che il Cinno sia molto odiato da vigili, pedoni e benpensanti.
Come si diventa Cinno? Si diventa Cinno perchè non si hapiù volia di studiare. Alcuni lasciao la scuola e fanno i vicedirettori nell'azienda del babbo. Altri si mettno a fare borse e cinture.
Altri ancora si fanno passar un piccolo stipendio mensile,si iscrivono ad Architettura e partono per il Gargano.
Altri, inspiegabilmente, preferiscono diventare Cinno.
Qualcuno parla di vocazione,altri di ragioni sociali. Come che sia, Cinno non si diventa da un giorno all'altro.
La spalla del barista è il Cinno, ovvero il ragazzo di bar, altrimenti detto fattorino. Il Cinno ha una bella faccia rosea bombardata di brufoli e vive in simbiosi con la sua bicicletta, la bicicletta del Cinno. Con essa il Cinno piomba come un falco in tutti i punti dela città, supera gli autobus in corsa, atterrisce i cani e sgomina i vigili. Il Cinno, nell'andare in bicicletta, ha una serie di regole fisse:
a) E' severamente vietato mettere le mani sul manubrio. Questo non solo quando si hanno le mani impegnate con un vassoio di tazze,thermos e maritozzi, ma in ogni altra occasione.
b) L'andatura di cinno deve essere altalenante, ovvero la bicicletta deve dondolare da sinistra a destra e viceversa, sfiorando il suolo, di modo che nel raggio di venti metri non si frappongano ostacoli viventi.
c) Si cade sempre e solo sulle ginocchia, qualunque sia la dinamica dell'incidente. Questo crea il famoso ginocchio da Cinno, uno dei problemi della medicina moderna. Esso è costituito da un'arcipelago di croste e crostoni, che si rigenera continuamente.
d) Mentre pedala, il Cinno canta.
e) La via normale del Cinno è costituita da : marciapiedi, portoni, androni, giardini, portici.
La strada è accuratamente evitata, perchè pericolosa e le donne sono chiuse dentro le macchine e si vedono peggio.
Tutto questo comporta, naturalmente, che il Cinno sia molto odiato da vigili, pedoni e benpensanti.
Come si diventa Cinno? Si diventa Cinno perchè non si hapiù volia di studiare. Alcuni lasciao la scuola e fanno i vicedirettori nell'azienda del babbo. Altri si mettno a fare borse e cinture.
Altri ancora si fanno passar un piccolo stipendio mensile,si iscrivono ad Architettura e partono per il Gargano.
Altri, inspiegabilmente, preferiscono diventare Cinno.
Qualcuno parla di vocazione,altri di ragioni sociali. Come che sia, Cinno non si diventa da un giorno all'altro.
sabato 17 maggio 2008
Linguistica - Cinni, picie, fieno in cascina e pedalare.
Il Nord Italia riserva della fantastiche sorprese glottologioche: ricordo di aver scoperto una volta l'origine nordica di un giocatore del Pescara dal suo: "Dobbiamo fare punti e METTERE FIENO IN CASCINA". La stalla è puzzolente e abitata da animali, ma se le si cambia nome, ecco che una cascina a noi del sud può dare l'idea quasi di un loft.
Stimolante è la variante piemontese del mio amico Karim, che definisce "Picie" l ragazze dai facili costumi. Solo in Piemonte c'è questa variante: nel resto del nord si dice "picio" e sta ad indicare l'attributo virile maschile.
In materia di linguistica nordica, ammetto di essere ancora un "Cinno" (garzone in bolognese)
Stimolante è la variante piemontese del mio amico Karim, che definisce "Picie" l ragazze dai facili costumi. Solo in Piemonte c'è questa variante: nel resto del nord si dice "picio" e sta ad indicare l'attributo virile maschile.
In materia di linguistica nordica, ammetto di essere ancora un "Cinno" (garzone in bolognese)
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