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sabato 24 agosto 2013
SuperManiero: segna e guida il Pescara alla prima vittoria in campionato
Pronostico rispettato allo Stadio Adriatico: il Pescara batte senza problemi una Juve Stabia il cui tecnico Piero Braglia invoca da tempo rinforzi. La società li ha promessi ma resta l'errore di mettere a posto una compagine a campionato già avviato.
Il Pescara dà subito l'impressione di avere in pugno la situazione: dopo un bel colpo di testa di Diop, neutralizzato dal portiere biancazzurro Pelizzoli, Mascara intercetta un tiro malriuscito di Nielsen e mette in rete, ma è in fuorigioco.Siamo al 4' minuto.
Passa ancora un quarto d'ora e Maniero impegna il portiere Branescu con un tiro dalla distanza.
Un altro giro di lancette e Maniero segna: cross al bacio di Balzano e colpo di testa dalla distanza, violento e angolato. Branescu non ci arriva.
L'asse Balzano-Maniero produce ancora due azioni-fotocopia: la prima volta il portiere delle vespe ci arriva, la seconda no: 2 a 0 per i padroni di casa
Nel secondo tempo, dopo un tiro di Martinelli, Mascara resiste a delle cariche sull'out di sinistra, riesce a mettere in mezzo, e sugli sviluppi di una bella azione coordinata Brugman salta un avversario e conclude: 3 a 0.
Il Pescara potrebbe arrotondare ulteriormente in un paio di occasioni, ma la mira è imprecisa.
Finisce così una gara a senso unico in cui i padroni di casa dominano senza troppi problemi.
Una riflessione: due giocatori accantonati l'anno scorso, giovani e promettenti come Brugman e Maniero, si stanno rivelando sempre più importanti per i biancazzurri.
La Juve Stabia, dal canto suo, si rivela molto modesta e fa preoccupare i suoi tifosi. I segnali negativi per i giallo-neri si erano visti già nel pre-campionato. Mancano, probabilmente, almeno un giocatore di qualità per reparto, oltre alla grinta che ha permesso ai beniamini di Castellamare di raggiungere un buon sedicesimo posto e di approdare al quarto turno di coppa Italia, l'anno scorso.
Verona fa festa: battuto il Milan
2 a 1 per la squadra di Mandorlini nella prima di campionato
Il colpo grosso era nell'aria, e nell'articolo precedente, in questo blog, lo avevamo sottolineato.
Il Verona, forte di una condizione fisica più avanzata e dell'entusiasmo dei 40 000 del Bentegodi, ha battuto meritatamente il Milan, dopo essere andato sotto su rete di Poli.
E' stato il giovane talento, neoacquisto rossonero, ad aprire le danze: triangolazione con Balotelli in area, due avversari saltati e palla sull'angolino destro, tirando con l'esterno del piede destro. Esecuzione molto difficile, che strappa applausi allo sportivo pubblico veronese.
Il Milan nei primi venticinque minuti è padrone del campo, poi i gialloblu prendono coraggio e raggiungono il pareggio con un imperioso stacco di Toni su cross dalla destra.
Il Verona cresce e al 53', al termine di un'azione molto lunga e raffinata, Jankovic porge il pallone a Toni con uno splendido cross d'esterno. L'ex campione del mondo 2006 non si fa pregare e incorna, sovrastando la difesa meneghina: 2 a 1 e risultato capovolto.
Il Milan cerca di reagire generosamente, ma non servono gli ingressi in campo di Robinho, Petagna ed Emanuelson.
Balotelli, che ha disputato un discreto primo tempo, nella seconda frazione si spegne col passare dei minuti. Buone le prestazioni dei due portieri Rafael ed Abbiati. Il secondo, sia pure imperfetto in occasione dei due goals subiti, ha impedito che il passivo fosse più pesante quando i contropiedi degli Scaligeri si sono fatti insidiosi al termine della gara.
Il colpo grosso era nell'aria, e nell'articolo precedente, in questo blog, lo avevamo sottolineato.
Il Verona, forte di una condizione fisica più avanzata e dell'entusiasmo dei 40 000 del Bentegodi, ha battuto meritatamente il Milan, dopo essere andato sotto su rete di Poli.
E' stato il giovane talento, neoacquisto rossonero, ad aprire le danze: triangolazione con Balotelli in area, due avversari saltati e palla sull'angolino destro, tirando con l'esterno del piede destro. Esecuzione molto difficile, che strappa applausi allo sportivo pubblico veronese.
Il Milan nei primi venticinque minuti è padrone del campo, poi i gialloblu prendono coraggio e raggiungono il pareggio con un imperioso stacco di Toni su cross dalla destra.
Il Verona cresce e al 53', al termine di un'azione molto lunga e raffinata, Jankovic porge il pallone a Toni con uno splendido cross d'esterno. L'ex campione del mondo 2006 non si fa pregare e incorna, sovrastando la difesa meneghina: 2 a 1 e risultato capovolto.
Il Milan cerca di reagire generosamente, ma non servono gli ingressi in campo di Robinho, Petagna ed Emanuelson.
Balotelli, che ha disputato un discreto primo tempo, nella seconda frazione si spegne col passare dei minuti. Buone le prestazioni dei due portieri Rafael ed Abbiati. Il secondo, sia pure imperfetto in occasione dei due goals subiti, ha impedito che il passivo fosse più pesante quando i contropiedi degli Scaligeri si sono fatti insidiosi al termine della gara.
Torna il grande calcio su questo blog
Lo so, cari amici, non vedevate l'ora. L'estate è calda, il calcio si fa fatica a praticarlo e a seguirlo, con certe temperature.
Ma io so che a voi, patiti maniaci come me, dopo un mese soltanto il pallone manca.
Ed eccomi qui a commentare per voi le partite di A e di B, scelte di volta in volta, e le coppe.
Iniziamo subito: oggi pomeriggio alle 18:00 c'è Verona-Milan.
L'esito è tutt'altro che scontato, perchè spesso le neopromosse partono già con una grande condizione fisica. In più il Milan ha alle spalle e davanti i due turni dei play off di Champions League con il Psv Eindhoven.
Vedremo chi la spunterà, tra l'entusiasmo degli Scaligeri supportati dal pubblico di casa e la maggiore classe dei rossoneri.
Probabili formazioni:
VERONA (4-3-3): Rafael; Cacciatore, Moras, Maietta, Martinho; Jorginho, Donati, Hallfredsson;
Jankovic, Toni, Gomez A disposizione: Nicolas, Mihaylov, Bianchetti, Gonzalez, Albertazzi, Cirigliano,
Laner, Romulo, Sgrigna, Cacia, Grossi, Sala, Longo. Allenatore: Mandorlini.
MILAN (4-3-3): Abbiati; Abate, Mexes, Zapata, Constant; Nocerino, Montolivo, Poli; Niang, Balotelli, El
Shaarawy A disposizione: Amelia, Coppola, De Sciglio, Emanuelson, Silvestre, De Jong, Zaccardo,
Cristante, Petagna, Robinho. Allenatore: Allegri.
Alle 20 e 30 c'è l'appuntamento con gli sportivi miei concittadini.
Il Pescara affronta in casa la Juve Stabia, coriacea formazione che con molto sudore della fronte e umiltà ha ben figurato nello scorso campionato, centrando una bellissima salvezza in cadetteria.
Le partite precampionato dei biancazzurri hanno fatto intravedere un gioco spumeggiante che la accreditano come una delle massime formazioni del torneo.
Si preannuncia spettacolo anche in questa occasione.
Probabili formazioni
Pescara (4-3-3): Pelizzoli; Balzano, Schiavi,
Capuano, Rossi; Nielsen, Rizzo,
Bjarnason; Cutolo, Maniero, Ragusa. All.: Marino.
Juve Stabia (3-5-2): Branescu; Martinelli, Figliomeni,
Murolo; Ciancio, Doninelli, Suciu, Caserta, Vitale; Sowe, Di
Carmine. All.: Piero Braglia.
Pescara (4-3-3): Pelizzoli; Balzano, Schiavi,
Capuano, Rossi; Nielsen, Rizzo,
Bjarnason; Cutolo, Maniero, Ragusa. All.: Marino.
Juve Stabia (3-5-2): Branescu; Martinelli, Figliomeni,
Murolo; Ciancio, Doninelli, Suciu, Caserta, Vitale; Sowe, Di
Carmine. All.: Piero Braglia.
martedì 20 agosto 2013
mercoledì 14 agosto 2013
La conferenza stampa non è un dettato
Mi capita ultimamente di vedere, in alcuni politici che intervisto in sede di conferenza stampa, dei volti contrariati. L'accoglienza è sempre più fredda, la tolleranza della mia presenza è sempre più malcelata. Mi convinco allora che sono sulla buona strada. Non che io abbia criticato costoro con particolare vigore, negli articoli.
La mia idea di giornalismo non è quella di denigrare qualcuno, di fare invettive contro persone, associazioni, partiti, categorie, corporazioni. Mi limito semplicemente a mostrare i fatti nella maniera più schietta possibile, e quando faccio delle considerazioni personali, esse sono ben scisse dalla narrazione degli eventi.
Le persone si fanno un'idea da sole delle cose. Non c'è bisogno che un giornalista o un blogger cerchi di fare loro un lavaggio del cervello. Spesso pensiamo di saperne più degli altri, e in questo c'è una certa boria che si nasconde in molti di noi; avviene in maniera spesso inconscia.
Miei cari membri delle amministrazioni locali, volete fare carriera in questo mestiere e non sapete nemmeno relazionarvi alla stampa. Lo so che qualche mio collega presta il fianco, si genuflette e vi fa l'occhiolino.
Vi grida: "Feudatario, o mio feudatario!" e fa un remake dell'attimo fuggente in chiave ruffiana.
Non aspettatevi questo da me. Anche se voi mi guardate in cagnesco, mi insultate (alle spalle semmai, perchè in faccia certa borghesia pescarese le cose non sa dirle) io proseguirò con il mio solito atteggiamento distaccato: vi elogierò se fate qualcosa di buono, vi criticherò più o meno aspramente se fate idiozie ( e purtroppo ne fate tante, ultimamente).
Questo discorso non riguarda solo Pescara e vale anche per altri ambienti. Si fanno le conferenze stampa, si chiamano i giornalisti per pubblicizzare quello che si fa, e in quel caso tv , giornali e siti web fanno comodo. In alcune circostanze (per fortuna non nella maggior parte) quando si arriva alla fine dell'incontro, c'è chi tira dritto e non accetta che si facciano domande.
Ad ogni caso c'è chi pensa che la stampa debba essere accomodante, e non accetta una critica anche se garbata e costruttiva. Francamente, da parte mia non c'è un atteggiamento avverso a nessuno.
Cari politici, cari artisti, sindacalisti o quant'altro: la conferenza stampa non è un dettato. Se veniamo lì, vi fa gioco perchè riportiamo quanto fate. Ascoltiamo quanto avete da dire, che talvolta è di una banalità sconcertante, e ci facciamo una idea.
Ci chiamate spesso perchè avete riparato un tombino o avete messo tre mattonelle su un marciapiede. Non fa niente, veniamo lo stesso, perchè è il nostro lavoro, non perchè siete importanti, con le vostre cariche amministrative di una città di provincia.
Per quello che mi riguarda riporto quanto dite sul quadernino, faccio domande, se dissento ve lo dico apertamente, tento anche di immedesimarmi negli alterchi di alto livello che fate con l'opposizione per un cassonetto da mettere dieci metri più in là. Faccio tutto questo però, come è giusto che sia, non vi prendo troppo sul serio.
Forse anche voi non vi dovreste prendere troppo sul serio e valutare le cose per quello che sono.
mercoledì 7 agosto 2013
La storia della Cattedrale di San Cetteo a Pescara
In pochi conoscono la storia della cattedrale di Pescara, San Cetteo.
Già nel 300 a.c. sembra che vi fosse una sinagoga. Tra il 1200 e il 1300, una sollevazione contro gli ebrei pescaresi, macchiatisi, (non si sa quanto ci sia di vero in questo) di oltraggio verso una immagine di Gesù. Dal dipinto sarebbe sgorgato sangue. Da allora i Pescaresi trasformarono la sinagoga nella chiesa di Santa Gerusalemme.
Le colonne racchiuse nelle vetrate nel marciapiede di fronte alla Cattedrale, sono appunto le colonne della chiesa di Santa Gerusalemme.
Nel punto dove c'è la cattedrale oggi, a pochi metri dalle colonne, c'era la chiesa del Santissimo Sacramento. Lì c'era la fortezza di Pescara. La chiesa fu presa a cannonate quando i repubblicani seguaci di Napoleone furono assediati dai Borboni.
Solo negli anni '30 la chiesa del Santissimo Sacramento fu dedicata al patrono di Pescara, San Cetteo.
Nel 1927 era considerata cadente e fatisciente, oramai inutilizzabile. v'era un campanile, si pensava ad un suo abbattimento. In quell'anno però, Pescara divenne provincia, riunendo i due comuni di Castellamare e di Pescara: la prima a nord del fiume, la seconda a sud.
Sotto la spinta dei vertici locali, del parroco Don Brandano, di D'Annunzio, (che finanziò parte dell'operazione e che vi installò la tomba della madre in seguito), si dette vita alla Cattedrale di San Cetteo come la conosciamo ora. Solo allora divenne il duomo, la sede vescovile, da cui parte la direzione della diocesi Pescara-Penne.
La chiesa assunse uno stile architettonico romanico e fascista. Lo stile del ventennio è chiaramente visibile nella possenza della facciata marmorea, ad esempio, o nello stile spoglio e marziale delle navate.
Il Romanico è rinvenibile in elementi come il rosone centrale tipico delle chiese medievali abruzzesi.
Tutto l'edificio sprigiona un senso di dignitosa sobrietà e di forza.
La costruzione durò (fatta eccezione per il rivestimento in marmo apposto qualche anno dopo) dal 1932 al 1939. Se pensiamo che in tempi moderni certe opere come l'Ospedale Nuovo, sono state realizzate in vent'anni, si tratta di un record...
I veri valori dello sport
(Nella foto: Simone Farina premiato dal presidente della Fifa Joseph Blatter)
Una delle ragioni che rende triste il nostro tempo è la perdita della dimensione del gioco. Se il senso del gioco, dello scherzo, del vivere momenti di gioia insensata, fine a sè stessa con qualcuno si perde, ecco anche la fine dei valori sportivi.
E' incredibile come persone che stanno ai livelli più alti della nostra società, ovvero i grandi imprenditori che posseggono le nostre società di calcio, non diano l'esempio a milioni di sportivi e di tifosi.
Enzo Bearzot scrisse in un libro: spero di far diventare i tifosi un po' meno tifosi e un po' più sportivi.
Gli illeciti riscontrati nel calcio sono l'estrema sintesi della perdita del valore intrinseco dello sport. L'attività sportiva, specialmente quella di gruppo, dovrebbe esaltare i valori dell'amicizia, del venirsi incontro l'uno con l'altro, del fare fronte alle difficoltà insieme. In più dovrebbe insegnare a vivere una vita sana.
Vediamo solo esempi di violenza, di vizio, di arrivismo. Conta solo vincere, non importa come, e contano i soldi.
Si squalificano per poco tempo persone che fanno ricorso al doping, ma non si prendono sanzioni per i protagonisti i giocatori in campo, o gli allenatori che mostrano il pugno al proprio attaccante che ha sbagliato un goal.
I genitori dei calciatori in erba, a volte, sono i più invasati. Litigano tra di loro e vengono alle mani. Solo il proprio bambino è la stella della squadra. Gli altri possono andare in malora. Con quali valori cresceranno questi ragazzi?
I casi di Farina e Conte
Nell'ultimo grande scandalo di Calciopoli, ovvero l'operazione Last Bet, il calciatore Simone Farina ha denunciato un tentativo di corruzione permettendo agli inquirenti di scoprire numerosi illeciti.
Ebbene, a 29 anni, Simone Farina si è ritrovato senza una squadra. Eppure era un buon giocatore, con una grande esperienza in serie B.
E' possibile che nessun club abbia voluto prenderlo con sè, sia per le sue buone caratteristiche tecniche, sia per un ritorno di immagine nell'avere in squadra l'eroe del calcio pulito?
Simone ha dovuto cessare la carriera, e questo è l'esempio più lampante dello stato in cui versa il calcio italiano: nessuno lo ha voluto, perchè agli occhi delle società è un piantagrane. In molti, evidentemente, hanno qualcosa da nascondere.
Farina è dovuto emigrare in Inghilterra per continuare a lavorare, ed anche lì finora non ha allenato squadre vere e proprie, ma lo fanno lavorare coi bambini.
Antonio Conte, ora allenatore della Juve, subì pressioni per truccare le partite del Siena, da parte degli stessi dirigenti della società. Secondo l'esito delle vicende giudiziarie, non avrebbe partecipato alle frodi sportive, ma sapeva e non ha denunciato gli episodi.
Dal punto di vista legale non ci sarebbero dubbi: chi è a conoscenza di un illecito e non lo denuncia, è complice.
Supponiamo però che fosse andato a dire tutto ai giudici: come per Farina, la sua carriera si sarebbe conclusa lì. Nessuna squadra l'avrebbe più voluto, nè come allenatore, nè come dirigente.
Certo, i soldi non gli sarebbero mancati, visto i suoi trascorsi da calciatore ed allenatore. Conte però è un uomo di calcio: conosce solo quello. Sa soltanto occuparsi del football.
Restare ai margini avrebbe comportato un grave problema esistenziale per lui. Abituato a lavorare sodo, sarebbe rimasto fuori dal suo mondo, sentendosi inutile ed emarginato. Niente Juve, fine della carriera, fine dei suoi sogni, a poco più di quarant'anni.
La sua condanna per omessa denuncia è giusta, ma il problema vero è un sistema totalmente capovolto nei valori.
Lo sport ha tolto dalla strada tanti ragazzi. Se i giovani non credono più nello sport vero, quello pulito, togliamo un grande faro di speranza alle future generazioni.
Una delle ragioni che rende triste il nostro tempo è la perdita della dimensione del gioco. Se il senso del gioco, dello scherzo, del vivere momenti di gioia insensata, fine a sè stessa con qualcuno si perde, ecco anche la fine dei valori sportivi.
E' incredibile come persone che stanno ai livelli più alti della nostra società, ovvero i grandi imprenditori che posseggono le nostre società di calcio, non diano l'esempio a milioni di sportivi e di tifosi.
Enzo Bearzot scrisse in un libro: spero di far diventare i tifosi un po' meno tifosi e un po' più sportivi.
Gli illeciti riscontrati nel calcio sono l'estrema sintesi della perdita del valore intrinseco dello sport. L'attività sportiva, specialmente quella di gruppo, dovrebbe esaltare i valori dell'amicizia, del venirsi incontro l'uno con l'altro, del fare fronte alle difficoltà insieme. In più dovrebbe insegnare a vivere una vita sana.
Vediamo solo esempi di violenza, di vizio, di arrivismo. Conta solo vincere, non importa come, e contano i soldi.
Si squalificano per poco tempo persone che fanno ricorso al doping, ma non si prendono sanzioni per i protagonisti i giocatori in campo, o gli allenatori che mostrano il pugno al proprio attaccante che ha sbagliato un goal.
I genitori dei calciatori in erba, a volte, sono i più invasati. Litigano tra di loro e vengono alle mani. Solo il proprio bambino è la stella della squadra. Gli altri possono andare in malora. Con quali valori cresceranno questi ragazzi?
I casi di Farina e Conte
Nell'ultimo grande scandalo di Calciopoli, ovvero l'operazione Last Bet, il calciatore Simone Farina ha denunciato un tentativo di corruzione permettendo agli inquirenti di scoprire numerosi illeciti.
Ebbene, a 29 anni, Simone Farina si è ritrovato senza una squadra. Eppure era un buon giocatore, con una grande esperienza in serie B.
E' possibile che nessun club abbia voluto prenderlo con sè, sia per le sue buone caratteristiche tecniche, sia per un ritorno di immagine nell'avere in squadra l'eroe del calcio pulito?
Simone ha dovuto cessare la carriera, e questo è l'esempio più lampante dello stato in cui versa il calcio italiano: nessuno lo ha voluto, perchè agli occhi delle società è un piantagrane. In molti, evidentemente, hanno qualcosa da nascondere.
Farina è dovuto emigrare in Inghilterra per continuare a lavorare, ed anche lì finora non ha allenato squadre vere e proprie, ma lo fanno lavorare coi bambini.
Antonio Conte, ora allenatore della Juve, subì pressioni per truccare le partite del Siena, da parte degli stessi dirigenti della società. Secondo l'esito delle vicende giudiziarie, non avrebbe partecipato alle frodi sportive, ma sapeva e non ha denunciato gli episodi.
Dal punto di vista legale non ci sarebbero dubbi: chi è a conoscenza di un illecito e non lo denuncia, è complice.
Supponiamo però che fosse andato a dire tutto ai giudici: come per Farina, la sua carriera si sarebbe conclusa lì. Nessuna squadra l'avrebbe più voluto, nè come allenatore, nè come dirigente.
Certo, i soldi non gli sarebbero mancati, visto i suoi trascorsi da calciatore ed allenatore. Conte però è un uomo di calcio: conosce solo quello. Sa soltanto occuparsi del football.
Restare ai margini avrebbe comportato un grave problema esistenziale per lui. Abituato a lavorare sodo, sarebbe rimasto fuori dal suo mondo, sentendosi inutile ed emarginato. Niente Juve, fine della carriera, fine dei suoi sogni, a poco più di quarant'anni.
La sua condanna per omessa denuncia è giusta, ma il problema vero è un sistema totalmente capovolto nei valori.
Lo sport ha tolto dalla strada tanti ragazzi. Se i giovani non credono più nello sport vero, quello pulito, togliamo un grande faro di speranza alle future generazioni.
martedì 6 agosto 2013
Mode più o meno teppiste anni '80
In questa foto, locandina del film This is England, ambientato nel 1983, vi sono vari esempi di mode inglesi dell'epoca: skinheads, rude boys, rude girls, skin girls.
Questi invece sono i casuals. Per molti il casual è ed è stato un modo di vestirsi giovanile e appunto casuale, senza una particolare ricercatezza. Negli stadi inglesi e poi di tutta Europa lo stile casual permetteva agli Hooligans di non dare nell'occhio. I teppisti si organizzavano in maniera studiata per creare disordine e cercavano di accedere allo stadio mimetizzandosi.
Quando I Mods copiavano gli Italiani, e gli Italiani copiavano i Mods.
(Nella foto: Gli Statuto, gruppo Mod Italiano)
C'è un equivoco culturale che ci trasciniamo da decenni. Quando vediamo qualcuno vestito di tutto punto, con giacca, cravatta e abiti classici, ci viene da dire: è vestito all'inglese. In realtà molti inglesi, in questi casi, pensano all'Italia.
Prendiamo come esempio i Beatles. Essi non erano che una lieve evoluzione dei Mods, almeno nel modo di vestire. I Mods erano in Inghilterra i cosiddetti fighetti degli anni '60, che amavano i vestiti da figlio di papà elegante e cercavano di attrarre le ragazze con un look pulito e aristocratico. I Mods ostentavano.
In Inghilterra all'epoca non c'era una grande scuola di sartoria e allora si recavano in Italia a comprare i vestiti, spesso facendoseli fare su misura dai nostri sarti romani o milanesi.
Non solo: amavano i film d'autore francesi ed italiani e giravano sovente con la Vespa e la Lambretta. Tanti giovani che seguivano la moda credevano di scimmiottare i cantanti inglesi. Gli stessi gruppi italiani si mettevano giacche e camicie uguali, a mo' di divisa. Copiavano i gruppi britannici ma in realtà questi a loro volta copiavano l'alta sartoria italiana. I Mods si scontravano spesso con i Rockers. Questi ultimi erano gli alternativi, quelli anti-casta, ribelli e contro le regole, anche quelle del vivere civile.
Vestivano con giubbotti in pelle e capelli trasandati, amavano le motociclette rumorose. Ovviamente ascoltavano generi diversi: mentre i raffinati rivali si dedicavano al beat, al pop, allo ska e al jazz, essi si cimentavano con il rock, dandosi in seguito anche al punk.
Spesso questi due gruppi erano vere e proprie bande rivali. Non lo facevano solo per un semplice vezzo o per esprimere la propria personalità. Questi giovani volevano imporre la propria visione del mondo, anche con la violenza. Nell'Inghilterra degli anni'60 si scon
trarono, specialmente a Londra, bande di Mods e di Rockers. Gli scontri sfociarono in gravi episodi di violenza, con feriti gravi e morti. La polizia dovette intervenire più volte, con pompe idrauliche, lacrimogeni, poliziotti a cavallo.
Tali scontri si ripeterono tra coloro che ricalcavano le loro orme, come gli skinheads, i punks, i teddy boys, i bikers. Le alleanze tra questi gruppi non erano sempre lineari e univoche.
Negli anni '80 i Casuals furono ritenuti dei seguaci benvestiti degli skinheads e qualche volta coincisero con le fronde violente degli hooligans, ma questa è un'altra storia. E' singolare constatare come la moda, a volte, diventi un argomento serissimo e questione di vita o di morte...
Andrea Russo
C'è un equivoco culturale che ci trasciniamo da decenni. Quando vediamo qualcuno vestito di tutto punto, con giacca, cravatta e abiti classici, ci viene da dire: è vestito all'inglese. In realtà molti inglesi, in questi casi, pensano all'Italia.
Prendiamo come esempio i Beatles. Essi non erano che una lieve evoluzione dei Mods, almeno nel modo di vestire. I Mods erano in Inghilterra i cosiddetti fighetti degli anni '60, che amavano i vestiti da figlio di papà elegante e cercavano di attrarre le ragazze con un look pulito e aristocratico. I Mods ostentavano.
In Inghilterra all'epoca non c'era una grande scuola di sartoria e allora si recavano in Italia a comprare i vestiti, spesso facendoseli fare su misura dai nostri sarti romani o milanesi.
Non solo: amavano i film d'autore francesi ed italiani e giravano sovente con la Vespa e la Lambretta. Tanti giovani che seguivano la moda credevano di scimmiottare i cantanti inglesi. Gli stessi gruppi italiani si mettevano giacche e camicie uguali, a mo' di divisa. Copiavano i gruppi britannici ma in realtà questi a loro volta copiavano l'alta sartoria italiana. I Mods si scontravano spesso con i Rockers. Questi ultimi erano gli alternativi, quelli anti-casta, ribelli e contro le regole, anche quelle del vivere civile.
Vestivano con giubbotti in pelle e capelli trasandati, amavano le motociclette rumorose. Ovviamente ascoltavano generi diversi: mentre i raffinati rivali si dedicavano al beat, al pop, allo ska e al jazz, essi si cimentavano con il rock, dandosi in seguito anche al punk.
Spesso questi due gruppi erano vere e proprie bande rivali. Non lo facevano solo per un semplice vezzo o per esprimere la propria personalità. Questi giovani volevano imporre la propria visione del mondo, anche con la violenza. Nell'Inghilterra degli anni'60 si scon
trarono, specialmente a Londra, bande di Mods e di Rockers. Gli scontri sfociarono in gravi episodi di violenza, con feriti gravi e morti. La polizia dovette intervenire più volte, con pompe idrauliche, lacrimogeni, poliziotti a cavallo.
Tali scontri si ripeterono tra coloro che ricalcavano le loro orme, come gli skinheads, i punks, i teddy boys, i bikers. Le alleanze tra questi gruppi non erano sempre lineari e univoche.
Negli anni '80 i Casuals furono ritenuti dei seguaci benvestiti degli skinheads e qualche volta coincisero con le fronde violente degli hooligans, ma questa è un'altra storia. E' singolare constatare come la moda, a volte, diventi un argomento serissimo e questione di vita o di morte...
Andrea Russo
L'arte di farsi del male è tipicamente italiana
Troppo benessere rende fragili
Tante, troppe volte, si dice: "questo è un momento difficile, c'è la crisi economica, c'è corruzione, c'è violenza nelle strade... tutto o quasi tutto funziona peggio". Voglio essere provocatorio allora: non c'è la crisi, e la gente, in generale, vive bene, mangia e beve, veste con vestiti firmati, ha tanti comforts. In Italia c'è uno sviluppo sociale ed economico invidiabile.
Certo, se facciamo il confronto con la situazione di venti o trent'anni fa, possiamo dire che il benessere è diminuito. Se però questa comparazione la estendiamo alla maggior parte dei paesi nel mondo, e ad altre epoche storiche, non c'è paragone che tenga. Tante cose che oggi diamo per acquisite e scontate un tempo non lo erano.
Chi è nato alla fine dell'ottocento e agli inizi del novecento ha vissuto due guerre e situazioni di indigenza molto estreme. Eppure queste persone non si lamentavano come si fa adesso, non si suicidavano se perdevano il lavoro.
Oggi in molti tolgono la vita a sè stessi e ai propri cari perchè la propria azienda è fallita. Nulla conta per loro il fatto di rimanere con una casa di proprietà e dei parenti pronti a dare una mano. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che non finirebbero sotto un ponte, nè morirebbero di fame. E anche se finissero come barboni, la vita va vissuta comunque.
Facciamo le vittime, ma non muoviamo un dito
Spesso diamo la colpa a fattori esterni per le nostre sconfitte. E' colpa di nostro padre che ci ha impartito una educazione repressiva, della crisi economica, dei nostri politici corrotti: Mai o quasi mai ci facciamo una seria analisi di coscienza. I politici sono espressione di un paese. Se migliorano i singoli, migliora anche la classe dirigente. Se lo spirito di un popolo si rafforza, maggiore è il coraggio del nocchiero che guida la nave.
C'è chi parla male del proprio paese e chi fa qualcosa per renderlo migliore
Mi è capitato di ascoltare su youtube un professore di economia, che si vanta di essere stato uno degli autori dello statuto dei DS, antesignani del Partito Democratico.
Ebbene, avrei voluto essere un maestro dei primi anni '50, quando le punizioni corporali erano ancora consentite. Gli avrei preso un orecchio e lo avrei messo in punizione dietro la lavagna, in ginocchio sui ceci, con cappello conico degli asinelli.
Tutto questo non tanto per le sue simpatie politiche, quanto per il senso di disfattismo che emanava il suo discorso: ci dobbiamo genuflettere, secondo lui, di fronte agli altri stati europei, perchè tutti sono migliori di noi. Poi ridacchiando, ha detto un'altra bestialità: "Il nostro tessuto industriale sta andando in declino. Ma perchè, un paese come il nostro aveva le capacità di mantenere una industria degna di questo nome?" Nemmeno fossimo il peggiore paese africano vittima di lotte tribali , fame, analfabetismo e guerre civili. Si può contare su persone del genere per formare le future classi dirigenti? Che insegnamento dà questo professore universitario ai suoi studenti?
Se si ragiona da perdenti, si sarà perdenti.
Il nostro paese è capace di mostrare sinceri slanci di ammirazione: per la nostra cultura, la nostra cucina, per la nostra creatività, e anche per alcune realtà imprenditoriali di successo. La Ferrari, la Lamborghini, la Maserati sono nate qui. I migliori attori di Hollywood hanno origini italiane. Sono i più amati, quelli con più carisma. Potrei andare avanti con gli esempi per ore. Eppure, dalle parole di molti, si evince un disfattismo, un disprezzo per chi sta intorno, e indirettamente, anche per sè stessi. Questo sentimento mi sembra che ci sia sempre stato, negli ultimi decenni, anche quando ci sono cose che funzionano.
C'è sempre una sottovalutazione delle proprie capacità, una voglia di farsi del male del tutto gratuita. L'esempio più spicciolo ma più calzante e sintetico sono i nostri allenatori che tengono fuori i talenti: Mazzola e Rivera non potevano giocare assieme, Zola e Di Canio venivano ignorati, e altri calciatori dai piedi buoni hanno dovuto stare ai margini per far posto ai tatticismi cervellotici del mister di turno. Mai che la Nazionale giochi a briglie sciolte, con un 4-3-3 semplice e spregiudicato. Il nostro paese è un po' come i suoi commissari tecnici: pauroso, anziano, senza la capacità di rischiare. Non si fa posto ai giovani, con il risultato che non si fanno figli, la popolazione invecchia sempre più, e si sarà costretti a lavorare fino a 70 anni e forse oltre perchè il sistema si tenga in equilibrio.
Eppure la medicina è semplice: essere ambiziosi, fare ognuno nel suo piccolo qualcosa per fare un passo avanti, non aspettare che i politici cambino le cose.
Soprattutto dobbiamo perdere lo spirito polemico e negativo che ci anima, farci ossessionare meno dalla politica, vivere la vita con più leggerezza.
Una volta eravamo poveri ma il futuro non ci faceva paura, e affrontavamo i disagi come se fosse niente. Ora invece che decisioni prendiamo? Vogliamo cambiare le cose o trastullarci per ore su internet?
Andrea Russo
Tante, troppe volte, si dice: "questo è un momento difficile, c'è la crisi economica, c'è corruzione, c'è violenza nelle strade... tutto o quasi tutto funziona peggio". Voglio essere provocatorio allora: non c'è la crisi, e la gente, in generale, vive bene, mangia e beve, veste con vestiti firmati, ha tanti comforts. In Italia c'è uno sviluppo sociale ed economico invidiabile.
Certo, se facciamo il confronto con la situazione di venti o trent'anni fa, possiamo dire che il benessere è diminuito. Se però questa comparazione la estendiamo alla maggior parte dei paesi nel mondo, e ad altre epoche storiche, non c'è paragone che tenga. Tante cose che oggi diamo per acquisite e scontate un tempo non lo erano.
Chi è nato alla fine dell'ottocento e agli inizi del novecento ha vissuto due guerre e situazioni di indigenza molto estreme. Eppure queste persone non si lamentavano come si fa adesso, non si suicidavano se perdevano il lavoro.
Oggi in molti tolgono la vita a sè stessi e ai propri cari perchè la propria azienda è fallita. Nulla conta per loro il fatto di rimanere con una casa di proprietà e dei parenti pronti a dare una mano. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che non finirebbero sotto un ponte, nè morirebbero di fame. E anche se finissero come barboni, la vita va vissuta comunque.
Facciamo le vittime, ma non muoviamo un dito
Spesso diamo la colpa a fattori esterni per le nostre sconfitte. E' colpa di nostro padre che ci ha impartito una educazione repressiva, della crisi economica, dei nostri politici corrotti: Mai o quasi mai ci facciamo una seria analisi di coscienza. I politici sono espressione di un paese. Se migliorano i singoli, migliora anche la classe dirigente. Se lo spirito di un popolo si rafforza, maggiore è il coraggio del nocchiero che guida la nave.
C'è chi parla male del proprio paese e chi fa qualcosa per renderlo migliore
Mi è capitato di ascoltare su youtube un professore di economia, che si vanta di essere stato uno degli autori dello statuto dei DS, antesignani del Partito Democratico.
Ebbene, avrei voluto essere un maestro dei primi anni '50, quando le punizioni corporali erano ancora consentite. Gli avrei preso un orecchio e lo avrei messo in punizione dietro la lavagna, in ginocchio sui ceci, con cappello conico degli asinelli.
Tutto questo non tanto per le sue simpatie politiche, quanto per il senso di disfattismo che emanava il suo discorso: ci dobbiamo genuflettere, secondo lui, di fronte agli altri stati europei, perchè tutti sono migliori di noi. Poi ridacchiando, ha detto un'altra bestialità: "Il nostro tessuto industriale sta andando in declino. Ma perchè, un paese come il nostro aveva le capacità di mantenere una industria degna di questo nome?" Nemmeno fossimo il peggiore paese africano vittima di lotte tribali , fame, analfabetismo e guerre civili. Si può contare su persone del genere per formare le future classi dirigenti? Che insegnamento dà questo professore universitario ai suoi studenti?
Se si ragiona da perdenti, si sarà perdenti.
Il nostro paese è capace di mostrare sinceri slanci di ammirazione: per la nostra cultura, la nostra cucina, per la nostra creatività, e anche per alcune realtà imprenditoriali di successo. La Ferrari, la Lamborghini, la Maserati sono nate qui. I migliori attori di Hollywood hanno origini italiane. Sono i più amati, quelli con più carisma. Potrei andare avanti con gli esempi per ore. Eppure, dalle parole di molti, si evince un disfattismo, un disprezzo per chi sta intorno, e indirettamente, anche per sè stessi. Questo sentimento mi sembra che ci sia sempre stato, negli ultimi decenni, anche quando ci sono cose che funzionano.
C'è sempre una sottovalutazione delle proprie capacità, una voglia di farsi del male del tutto gratuita. L'esempio più spicciolo ma più calzante e sintetico sono i nostri allenatori che tengono fuori i talenti: Mazzola e Rivera non potevano giocare assieme, Zola e Di Canio venivano ignorati, e altri calciatori dai piedi buoni hanno dovuto stare ai margini per far posto ai tatticismi cervellotici del mister di turno. Mai che la Nazionale giochi a briglie sciolte, con un 4-3-3 semplice e spregiudicato. Il nostro paese è un po' come i suoi commissari tecnici: pauroso, anziano, senza la capacità di rischiare. Non si fa posto ai giovani, con il risultato che non si fanno figli, la popolazione invecchia sempre più, e si sarà costretti a lavorare fino a 70 anni e forse oltre perchè il sistema si tenga in equilibrio.
Eppure la medicina è semplice: essere ambiziosi, fare ognuno nel suo piccolo qualcosa per fare un passo avanti, non aspettare che i politici cambino le cose.
Soprattutto dobbiamo perdere lo spirito polemico e negativo che ci anima, farci ossessionare meno dalla politica, vivere la vita con più leggerezza.
Una volta eravamo poveri ma il futuro non ci faceva paura, e affrontavamo i disagi come se fosse niente. Ora invece che decisioni prendiamo? Vogliamo cambiare le cose o trastullarci per ore su internet?
Andrea Russo
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