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martedì 27 aprile 2010

"L'uomo che verrà", il film "gotico" di Giorgio Diritti.

In un paesino del Piemonte (siamo nel 1943) una parte della popolazione inizia a ribellarsi ai tedeschi, che spadroneggiano invadendo spesso con arroganza le abitazioni dei poveri contadini.

Nel frattempo, una banda di partigiani prende l'iniziativa per organizzare la resistenza armata. Per ripicca, i tedeschi fucilano l'intero paese, comprese donne e bambini. Si salvano in pochissimi, tra cui una bambina con problemi relazionali (non parla dalla morte del fratellino). Si trova pradossalmente sola, dopo lo sterminio della famiglia, ad accudire l'ultimo nato prima che alla madre tocchi la peggiore delle sorti. Ritornerà ad usare la voce per cantare la ninna nanna al neonato. E' una scena di speranza di recupero per lei, e di un futuro migliore per colui che diverrà un uomo, partecipe e artefice, si spera, di un mondo cambiato.

Un film molto cupo, recitato interamente in dialetto piemontese, sottotitolato.
All'inizio sembra quasi ambientato in un nord Europa medioevale, con la popolazione contadina vestita di stracci e una tecnologia quasi assente.

Il sole, forse è anche una scelta simbolica, non c'è quasi mai.
Dapprima si assiste a un tentativo di convivenza tra i fattori e i soldati, poi c'è una escalation di violenze toccante.

Dal punto di vista artistico, il film (uscito nel 2009) è fatto molto bene. Tra gli autori più noti, Maya Sansa nella parte della madre e il comico Vito (Stefano Bicocchi) in un insolita parte drammatica. Recitazione ottima, estremo realismo, nessuna sbavatura.

Si esce dal cinema col volto triste e pensoso, ma vale la pena riflettere, anche in virtù di un prodotto artistico ineccepibile e, come spesso avviene in questi casi, poco pubblicizzato.

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