Ecco un interessante stralcio proveniente dal libro di Pino Aprile "Terroni". Secondo Aprile ed altri, Garibaldi non fece la fortuna del sud, ma il suo degrado. Il Regno delle due sicilie era una potenza internazionale, molto più del Nord Italia, e vantava primati importanti.
Napoli all'epoca dell'Unità d'Italia era una città più ricca e prestigiosa di Roma, più popolosa, con un passato e un presente culturale molto vivace. Fu lì che nacque una delle prime università d'Italia, ad opera del Normanno Federico II. Sempre lì nacque la prima ferrovia d'Italia, la famosa Napoli-Portici, sia pure di valore quasi simbolico, visti i 7 e poco più km di lunghezza del percorso.
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In seguito all’unificazione territoriale dell’Italia nel 1860, la storia del risorgimento fu scritta ed adeguata in funzione dei nuovi padroni, i Savoia.
Il primo atto fu quello di giustificare l’invasione – avvenuta senza un motivo e senza dichiarazione di guerra – del Regno delle Due Sicilie, uno Stato in pace con tutti.
A tal fine, fu inventata e propagandata la più grande menzogna risorgimentale: quella del degrado e della miseria del Sud povero ed arretrato, a differenza del Nord, in particolare il Piemonte, ricco ed evoluto.
A questo punto, una domanda sorge spontanea: «Ma Vittorio Emanuele II e Cavour furono allora dei grandissimi fessi ad invadere e conquistare il Regno delle Due Sicilie? Furono degli autolesionisti, perché, così facendo, vennero a legarsi una simile “palla al piede” e ad accollarsi tutti nostri guai?»
Invece non fu così. Costoro non erano né fessi, né autolesionisti, ma dei grandissimi furbacchioni!
Al momento dell’unità d’Italia, la ricchezza dello Stato meridionale, costituita dai depositi aurei esistenti presso le banche delle Due Sicilie, era di poco inferiore a mezzo miliardo di lire-oro (443,2 milioni) ed in quantità doppia rispetto a quella di tutti gli altri Stati italiani messi assieme (per un totale di 668,4 milioni). Questi dati sono relativi al Primo Censimento Generale del neonato Regno d’Italia (Cfr. Francesco Saverio Nitti “Scienza delle Finanze”, Ed. Pierro, 1903, pag. 292).
A ciò si aggiungeva la solidità della stessa moneta circolante, tutta in metallo pregiato (niente carta) che, per il suo valore intrinseco, non si era mai svalutata (quindi, l’inflazione, era un fenomeno sconosciuto!) nei 126 anni in cui regnò la dinastia borbonica.
Un’altra verità storica venne sapientemente occultata dalla storiografia risorgimentalista, e cioè che, subito dopo l’unità, fu combattuta una cruenta guerra civile, con centinaia di migliaia di morti (1 milione di meridionali restarono uccisi), passata alla storia come lotta al brigantaggio.
I Savoia hanno fatto credere di aver “liberato” il Sud dalle angherie e dalla fame. Ma dopo oltre 10 anni di dura repressione, iniziò un massiccio esodo di popolo dal Sud, ove prima erano sconosciute la disoccupazione e l’emigrazione (dall’unità ai nostri giorni, sono emigrati non meno di 26 milioni di meridionali).
In realtà, la Sardegna dei Savoia era ben più depressa della Sicilia dei Borbone e Napoli era ben più civile e moderna di Torino.
Tralasciando di menzionare i numerosissimi primati (in Italia e nel mondo: se ne contano più di cinquanta!), ricordiamo che, nel 1856, alla “Mostra dell’industria di Parigi”, il Regno delle Due Sicilie fu premiato quale Terza Nazione Industriale al mondo. Nessun altro Stato italiano fu menzionato (Cfr. Vittorio Gleijeses “Storia di Napoli”, Ed. Ciano, pag. 852).
In campo tributario, l’erario napoletano era il più prosperoso d’Europa, quantunque a fronte di un sistema impositivo fiscale giudicato il più mite del continente; durante il regno dei Borbone, infatti, la pressione fiscale non venne mai accresciuta. Questo sistema tributario era regolamentato da tre sole leggi e poneva il massimo rispetto per la proprietà e l’iniziativa privata, agevolando in ogni maniera la ricchezza di ognuno e, quindi, quella generale. L’unica imposta “diretta” esistente era la fondiaria (10%), mentre imposte “indirette” erano quella sulle dogane, sui tabacchi, sul sale, sulle polveri da sparo e sulle carte da gioco (in sostanza, tutte imposte di monopolio); poi quella sul registro, quella sulla lotteria e quella sulle poste.
Tra il 1815 ed il 1860, le aliquote di queste imposte non furono mai aumentate, né furono istituite nuove tasse. Tuttavia, le entrate erariali erano sempre in espansione.
Come le ricchezze finanziarie del Regno della Due Sicilie erano più consistenti di quelle piemontesi, così il debito pubblico era più modesto; infatti, esso consisteva in 59,03 lire pro-capite per i meridionali, contro le 261,86 lire pro-capite per i sudditi del Regno di Piemonte (Cfr. Giacomo Savarese, “Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860”, Tipografia di Gaetano Cardamone, Napoli, 1862).
Per questo e non per altro, i piemontesi occuparono il Regno o davvero qualcuno crede ancora alla bella favola risorgimentale? Nella drammatica situazione socio-economica in cui versiamo oggi, non l’avrebbero mai fatto: si sarebbero legati una bella palla al piede! Ma a Vittorio Emanuele II ed a Cavour – che fessi non erano (e Garibaldi fu solo un utile strumento nelle loro mani) – faceva molto gola un bel Regno, ricco ed opulento, una vera e propria California Europea; Napoli fu vista con invidia e cupidigia, in quanto appariva come una gallina dalle uova d’oro, da catturare e spogliare.
Ma c’è di più. La politica fiscale perseguita dallo Stato unitario fu un caso di vero e proprio drenaggio di capitali che, dal Sud, andarono al Nord.
Infatti, sentiamo cosa dice addirittura un convinto unitarista meridionale, come Giustino Fortunato, nella lettera del 2 settembre 1899 a Pasquale Villari: «L’unità d’Italia… è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura maggiore che nelle meridionali».
Pertanto, la storia “ufficiale” andrebbe riscritta basandosi sui documenti, ma i nostri libri di scuola e la tanta letteratura risorgimentalista, questo non l’hanno fatto e non lo fanno ancora: raccontano tante balle. Le balle utili a chi invase un pacifico, tranquillo Regno, conquistò, massacrò ed ebbe poi bisogno di costruirsi una verginità di fronte alle future generazioni.
Sempre dal Censimento Generale del Regno d’Italia del 1861 (dati ufficiali anche questi!) risulta che, nelle “Due Sicilie”, erano attivamente occupate 6.983.826 persone, pari al 76,10% della popolazione. Vale a dire che il Regno godeva decisamente di una invidiabile situazione economica, impensabile ed inarrivabile per noi meridionali di oggi, in tre parole: la piena occupazione.
Questo risultato fu raggiunto con la grande politica di investimenti e risanamento voluta dal re Ferdinando II di Borbone.
L’emigrazione dalle nostre terre era un fenomeno assolutamente sconosciuto; dopo l’unità d’Italia assumerà toni da “Esodo Biblico”.
In conclusione, eravamo lo Stato più ricco d’Italia, con il più elevato livello di occupazione, il minor numero di poveri, la maggiore densità di popolazione, il maggior numero di immigrati (dal Nord Italia e dall’estero: pensate l’ironia!) e tutti occupati; la prima normativa della storia sull’immigrazione fu la legge emanata il 17 dicembre 1817 dal re Ferdinando I di Borbone. Insomma, eravamo uno dei tre Stati più potenti d’Europa, che a quei tempi significava del mondo, mentre chi ci invase ed occupò era lo Stato più povero, sull’orlo della bancarotta (ce lo riferisce il deputato piemontese Pier Carlo Boggio), talmente indebitato che i Savoia dovettero cedere (rectius: vendere) la loro terra d’origine, cioè la Savoia, alla Francia.
Incredibile? No è la verità, a noi tutti abilmente occultata, ma soltanto la verità.
Il tracollo del Sud nasce dopo l’unità d’Italia ed aumenta in maniera esponenziale fino ai giorni nostri, facendo fuggire i ragazzi da questa loro terra.
Prendiamone atto una volta per tutte e, dopo aver fatto studiare loro tante sciocchezze, cominciamo a raccontare ai nostri figli la verità. La Storia deve essere maestra di vita e non di falsità! Ingannare i nostri ragazzi (come lo siamo stati noi adulti quando eravamo studenti) con queste colossali fandonie è altamente diseducativo.
Purtroppo, anche Sergio Rizzo e Gianantonio Stella (come lo scrivente) hanno studiato la storia d’Italia adulterata e manipolata che si legge sui libri scolastici scritti dagli storici di regime (sabaudo), per avvalorare il punto di vista dei vincitori; tuttavia, non è mai troppo tardi per documentarsi su qualche buon testo più obiettivo. Ripartiamo allora dalla Storia d’Italia, ma da quella “vera”, cioè quella basata su documenti inoppugnabili, non sulle favolette inventate di sana pianta e raccontate fino alla noia, per ben 150 anni, da storiografi prezzolati e venduti al vincitore.
Consiglieri, pertanto, oltre ai testi già menzionati, di leggere anche alcune pagine di Gramsci sulla questione meridionale (può stupire che il padre del comunismo italiano avesse una visione controcorrente degli eventi post-unitari, da lui denunciati come messa a ferro e a fuoco delle contrade meridionali e soprusi sulle masse contadine: Gramsci prima e più di altri aveva capito che l’unificazione era stata un’operazione di colonizzazione violenta del Meridione), nonché la recentissima opera di Pino Aprile, “Terroni” Ed. Piemme, 2010
Napoli all'epoca dell'Unità d'Italia era una città più ricca e prestigiosa di Roma, più popolosa, con un passato e un presente culturale molto vivace. Fu lì che nacque una delle prime università d'Italia, ad opera del Normanno Federico II. Sempre lì nacque la prima ferrovia d'Italia, la famosa Napoli-Portici, sia pure di valore quasi simbolico, visti i 7 e poco più km di lunghezza del percorso.
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In seguito all’unificazione territoriale dell’Italia nel 1860, la storia del risorgimento fu scritta ed adeguata in funzione dei nuovi padroni, i Savoia.
Il primo atto fu quello di giustificare l’invasione – avvenuta senza un motivo e senza dichiarazione di guerra – del Regno delle Due Sicilie, uno Stato in pace con tutti.
A tal fine, fu inventata e propagandata la più grande menzogna risorgimentale: quella del degrado e della miseria del Sud povero ed arretrato, a differenza del Nord, in particolare il Piemonte, ricco ed evoluto.
A questo punto, una domanda sorge spontanea: «Ma Vittorio Emanuele II e Cavour furono allora dei grandissimi fessi ad invadere e conquistare il Regno delle Due Sicilie? Furono degli autolesionisti, perché, così facendo, vennero a legarsi una simile “palla al piede” e ad accollarsi tutti nostri guai?»
Invece non fu così. Costoro non erano né fessi, né autolesionisti, ma dei grandissimi furbacchioni!
Al momento dell’unità d’Italia, la ricchezza dello Stato meridionale, costituita dai depositi aurei esistenti presso le banche delle Due Sicilie, era di poco inferiore a mezzo miliardo di lire-oro (443,2 milioni) ed in quantità doppia rispetto a quella di tutti gli altri Stati italiani messi assieme (per un totale di 668,4 milioni). Questi dati sono relativi al Primo Censimento Generale del neonato Regno d’Italia (Cfr. Francesco Saverio Nitti “Scienza delle Finanze”, Ed. Pierro, 1903, pag. 292).
A ciò si aggiungeva la solidità della stessa moneta circolante, tutta in metallo pregiato (niente carta) che, per il suo valore intrinseco, non si era mai svalutata (quindi, l’inflazione, era un fenomeno sconosciuto!) nei 126 anni in cui regnò la dinastia borbonica.
Un’altra verità storica venne sapientemente occultata dalla storiografia risorgimentalista, e cioè che, subito dopo l’unità, fu combattuta una cruenta guerra civile, con centinaia di migliaia di morti (1 milione di meridionali restarono uccisi), passata alla storia come lotta al brigantaggio.
I Savoia hanno fatto credere di aver “liberato” il Sud dalle angherie e dalla fame. Ma dopo oltre 10 anni di dura repressione, iniziò un massiccio esodo di popolo dal Sud, ove prima erano sconosciute la disoccupazione e l’emigrazione (dall’unità ai nostri giorni, sono emigrati non meno di 26 milioni di meridionali).
In realtà, la Sardegna dei Savoia era ben più depressa della Sicilia dei Borbone e Napoli era ben più civile e moderna di Torino.
Tralasciando di menzionare i numerosissimi primati (in Italia e nel mondo: se ne contano più di cinquanta!), ricordiamo che, nel 1856, alla “Mostra dell’industria di Parigi”, il Regno delle Due Sicilie fu premiato quale Terza Nazione Industriale al mondo. Nessun altro Stato italiano fu menzionato (Cfr. Vittorio Gleijeses “Storia di Napoli”, Ed. Ciano, pag. 852).
In campo tributario, l’erario napoletano era il più prosperoso d’Europa, quantunque a fronte di un sistema impositivo fiscale giudicato il più mite del continente; durante il regno dei Borbone, infatti, la pressione fiscale non venne mai accresciuta. Questo sistema tributario era regolamentato da tre sole leggi e poneva il massimo rispetto per la proprietà e l’iniziativa privata, agevolando in ogni maniera la ricchezza di ognuno e, quindi, quella generale. L’unica imposta “diretta” esistente era la fondiaria (10%), mentre imposte “indirette” erano quella sulle dogane, sui tabacchi, sul sale, sulle polveri da sparo e sulle carte da gioco (in sostanza, tutte imposte di monopolio); poi quella sul registro, quella sulla lotteria e quella sulle poste.
Tra il 1815 ed il 1860, le aliquote di queste imposte non furono mai aumentate, né furono istituite nuove tasse. Tuttavia, le entrate erariali erano sempre in espansione.
Come le ricchezze finanziarie del Regno della Due Sicilie erano più consistenti di quelle piemontesi, così il debito pubblico era più modesto; infatti, esso consisteva in 59,03 lire pro-capite per i meridionali, contro le 261,86 lire pro-capite per i sudditi del Regno di Piemonte (Cfr. Giacomo Savarese, “Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860”, Tipografia di Gaetano Cardamone, Napoli, 1862).
Per questo e non per altro, i piemontesi occuparono il Regno o davvero qualcuno crede ancora alla bella favola risorgimentale? Nella drammatica situazione socio-economica in cui versiamo oggi, non l’avrebbero mai fatto: si sarebbero legati una bella palla al piede! Ma a Vittorio Emanuele II ed a Cavour – che fessi non erano (e Garibaldi fu solo un utile strumento nelle loro mani) – faceva molto gola un bel Regno, ricco ed opulento, una vera e propria California Europea; Napoli fu vista con invidia e cupidigia, in quanto appariva come una gallina dalle uova d’oro, da catturare e spogliare.
Ma c’è di più. La politica fiscale perseguita dallo Stato unitario fu un caso di vero e proprio drenaggio di capitali che, dal Sud, andarono al Nord.
Infatti, sentiamo cosa dice addirittura un convinto unitarista meridionale, come Giustino Fortunato, nella lettera del 2 settembre 1899 a Pasquale Villari: «L’unità d’Italia… è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura maggiore che nelle meridionali».
Pertanto, la storia “ufficiale” andrebbe riscritta basandosi sui documenti, ma i nostri libri di scuola e la tanta letteratura risorgimentalista, questo non l’hanno fatto e non lo fanno ancora: raccontano tante balle. Le balle utili a chi invase un pacifico, tranquillo Regno, conquistò, massacrò ed ebbe poi bisogno di costruirsi una verginità di fronte alle future generazioni.
Sempre dal Censimento Generale del Regno d’Italia del 1861 (dati ufficiali anche questi!) risulta che, nelle “Due Sicilie”, erano attivamente occupate 6.983.826 persone, pari al 76,10% della popolazione. Vale a dire che il Regno godeva decisamente di una invidiabile situazione economica, impensabile ed inarrivabile per noi meridionali di oggi, in tre parole: la piena occupazione.
Questo risultato fu raggiunto con la grande politica di investimenti e risanamento voluta dal re Ferdinando II di Borbone.
L’emigrazione dalle nostre terre era un fenomeno assolutamente sconosciuto; dopo l’unità d’Italia assumerà toni da “Esodo Biblico”.
In conclusione, eravamo lo Stato più ricco d’Italia, con il più elevato livello di occupazione, il minor numero di poveri, la maggiore densità di popolazione, il maggior numero di immigrati (dal Nord Italia e dall’estero: pensate l’ironia!) e tutti occupati; la prima normativa della storia sull’immigrazione fu la legge emanata il 17 dicembre 1817 dal re Ferdinando I di Borbone. Insomma, eravamo uno dei tre Stati più potenti d’Europa, che a quei tempi significava del mondo, mentre chi ci invase ed occupò era lo Stato più povero, sull’orlo della bancarotta (ce lo riferisce il deputato piemontese Pier Carlo Boggio), talmente indebitato che i Savoia dovettero cedere (rectius: vendere) la loro terra d’origine, cioè la Savoia, alla Francia.
Incredibile? No è la verità, a noi tutti abilmente occultata, ma soltanto la verità.
Il tracollo del Sud nasce dopo l’unità d’Italia ed aumenta in maniera esponenziale fino ai giorni nostri, facendo fuggire i ragazzi da questa loro terra.
Prendiamone atto una volta per tutte e, dopo aver fatto studiare loro tante sciocchezze, cominciamo a raccontare ai nostri figli la verità. La Storia deve essere maestra di vita e non di falsità! Ingannare i nostri ragazzi (come lo siamo stati noi adulti quando eravamo studenti) con queste colossali fandonie è altamente diseducativo.
Purtroppo, anche Sergio Rizzo e Gianantonio Stella (come lo scrivente) hanno studiato la storia d’Italia adulterata e manipolata che si legge sui libri scolastici scritti dagli storici di regime (sabaudo), per avvalorare il punto di vista dei vincitori; tuttavia, non è mai troppo tardi per documentarsi su qualche buon testo più obiettivo. Ripartiamo allora dalla Storia d’Italia, ma da quella “vera”, cioè quella basata su documenti inoppugnabili, non sulle favolette inventate di sana pianta e raccontate fino alla noia, per ben 150 anni, da storiografi prezzolati e venduti al vincitore.
Consiglieri, pertanto, oltre ai testi già menzionati, di leggere anche alcune pagine di Gramsci sulla questione meridionale (può stupire che il padre del comunismo italiano avesse una visione controcorrente degli eventi post-unitari, da lui denunciati come messa a ferro e a fuoco delle contrade meridionali e soprusi sulle masse contadine: Gramsci prima e più di altri aveva capito che l’unificazione era stata un’operazione di colonizzazione violenta del Meridione), nonché la recentissima opera di Pino Aprile, “Terroni” Ed. Piemme, 2010
2 commenti:
Molto forte sappere questo.
Se qualche volta voi sud-italiani ( i veri italiani) iniziano un proceso per la giustizia, noi hispanici, siamo con voi, perche siamo fratelli piu vicini da voi che da quelli alpini usurpatori ( loro non soro latini veri).
Come Catalonia, come nelle Malvinas ( non falklands) voi siete un paese che bisogna giustizia, al meno storica, se non politica.
Il mondo dobreve sappere di questo.
So che essiste una traduzioen al inglese. Una allo spagnolo potrebbe essere moto buona per gli italo-argentino e venezolani. loro noni furono vittime.
¡Vivan Napoles y Sicilia!
Caro amico ispanico, a scuola queste cose non me le hanno mai dette, è bene approfondire, non fa mai male :)
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