I casi giudiziari creano attori di cinema.
Non è una novità: l'investitore ubriaco di etnia Rom blandito dalle case di produzione televisive e cinematografiche ne è un esempio.
Sui casi di Cogne, Di Garlasco e di Erba sono usciti libri, i giornali hanno incrementato le vendite, e programmi da salotto li hanno usati per anni come mezzo per fare audience.
Adesso il pericolo arriva però dalle istituzioni stesse: la Regione Umbria ha finanziato un film con Amanda Knox protagonista.
Il film parla dei sogni di libertà di 12 detenute che sognano di fuggire, e per farlo usano la fantasia, esplorando sette città che rappresentano ognuna un settore del lavoro.
Nel film Amanda Knox recita anche l'Amleto, sia in Inglese, che in Italiano.
L'assessore Armando Stufara chiarisce la vicenda affermando: "Il film ha una funzione rieducativa e per noi tutti i detenuti sono uguali. Non volevamo creare un caso Amanda Knox".
L'assunto ha un vizio di fondo: Amanda Knox non è stata ancora condannata in via definitiva, per cui non ha senso parlare di rieducazione.
D'altro canto, è vero invece che il caso di Perugia è diventato una risorsa mediatica su cui fare soldi, e che i suoi protagonisti, compresa Amanda, sono diventati dei personaggi famosi, quasi delle star. A favore di quesa esaltazione degli inquisiti sta il fatto che Amanda Knox è giovane e bella.
Grazie a questo fattore è appetita dai media e si puo' fare di lei una vera star, anche se magari verrà condannata in via definitiva per omicidio.
Che Amanda sia colpevole o innocente lo vedremo: nel frattempo è da incoscienti mettere i riflettori sui processi, ottenendo il risultato di vedere ribaltati i valori: presunti assassini diventano dei modelli da seguire, e si crea una sorta di apologia del male.
I processi veri sono in tribunale: quelli mediatici sono il lato deteriore delle vicende.
Sarebbe opportuno tenere i riflettori spenti sia prima che dopo le sentenze dei giudici.
Durante lo svolgimento dei processi non bisognerebbe nè esaltare, nè denigrare gli imputati, ma attendere, in decoroso silenzio, che la giustizia faccia il proprio corso.
Non è una novità: l'investitore ubriaco di etnia Rom blandito dalle case di produzione televisive e cinematografiche ne è un esempio.
Sui casi di Cogne, Di Garlasco e di Erba sono usciti libri, i giornali hanno incrementato le vendite, e programmi da salotto li hanno usati per anni come mezzo per fare audience.
Adesso il pericolo arriva però dalle istituzioni stesse: la Regione Umbria ha finanziato un film con Amanda Knox protagonista.
Il film parla dei sogni di libertà di 12 detenute che sognano di fuggire, e per farlo usano la fantasia, esplorando sette città che rappresentano ognuna un settore del lavoro.
Nel film Amanda Knox recita anche l'Amleto, sia in Inglese, che in Italiano.
L'assessore Armando Stufara chiarisce la vicenda affermando: "Il film ha una funzione rieducativa e per noi tutti i detenuti sono uguali. Non volevamo creare un caso Amanda Knox".
L'assunto ha un vizio di fondo: Amanda Knox non è stata ancora condannata in via definitiva, per cui non ha senso parlare di rieducazione.
D'altro canto, è vero invece che il caso di Perugia è diventato una risorsa mediatica su cui fare soldi, e che i suoi protagonisti, compresa Amanda, sono diventati dei personaggi famosi, quasi delle star. A favore di quesa esaltazione degli inquisiti sta il fatto che Amanda Knox è giovane e bella.
Grazie a questo fattore è appetita dai media e si puo' fare di lei una vera star, anche se magari verrà condannata in via definitiva per omicidio.
Che Amanda sia colpevole o innocente lo vedremo: nel frattempo è da incoscienti mettere i riflettori sui processi, ottenendo il risultato di vedere ribaltati i valori: presunti assassini diventano dei modelli da seguire, e si crea una sorta di apologia del male.
I processi veri sono in tribunale: quelli mediatici sono il lato deteriore delle vicende.
Sarebbe opportuno tenere i riflettori spenti sia prima che dopo le sentenze dei giudici.
Durante lo svolgimento dei processi non bisognerebbe nè esaltare, nè denigrare gli imputati, ma attendere, in decoroso silenzio, che la giustizia faccia il proprio corso.
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