L'altro ieri la rubrica mattutina degli approfondimenti del tg2 ha proposto un simpatico accoppiamento: hanno fatto incontrare per la prima volta Nino Castelnuovo, noto attore teatrale e Mario Castelnuovo, cantante passato nel dimenticatoio dopo un fugace momento di splendore agli inizi degli anni '80.
I due, nonostante avessero lo stesso cognome, non si erano mai conosciuti, ma erano perseguitati l'uno dalla fama dell'altro, visto che la gente spesso li confondeva o li additava come parenti.
Entrambi si sono detti molto contenti di conoscersi, finalmente, dopo tanti anni. E' stato un incontro simpatico.
Mario, che è stato indicato da un suo collega come l'autore del più brutto brano nella storia di Sanremo, tanto da provocare (testuali parole) degli "attacchi di colite", alla fine della trasmissione ha cantato il pezzo incriminato: "Sette fili di canapa".
Quasi rimosso dalla mia memoria, questo brano mi ha folgorato: i testi sono di una visionarietà e di una bellezza non comune.
Il pezzo, presentato al Festival di Sanremo del 1983, ha un ritornello che è quasi un surrogato dell'attacco iniziale, e basa gran parte del suo fascino proprio sul testo.
Le parole, sin dall'inizio, sono scandite, quasi col fiato sospeso, in maniera singolare, a mo di filastrocca. Vi riporto il testo per intero:
C'erano, sette fili di canapa,
e un Abele da uccidere,
sotto un cielo di rame.
C'erano sette medici a tavola,
e un amore già anemico,
dissanguato per strada.
Rit: Unirò sette fili ed avrò perduto
Unirò sette fili e sarò perduto
C'erano sette Cristi a Follonica.
ed un ateo sul Sinai,
bivaccava e aspettava.
C'erano, poi,
sette topi sull'edera,
e più giù un cavaliere
giovane,
preso da una tagliola.
Rit: Unirò sette fili ed avrò perduto,
Unirò sette fili e sarò perduto.
Il numero sette ricorre come qualcosa di infausto per l'autore, non si capisce bene il perchè.
Ad ogni verso c'è una beffa, di persone che hanno delle aspettative, ma vengono giocati pesantemente dalla vita.
La scansione dei versi e il loro alternarsi ricordano vagamente una preghiera.
Una perla, questa canzone, recuperata dall'oblìo degli anni.
I due, nonostante avessero lo stesso cognome, non si erano mai conosciuti, ma erano perseguitati l'uno dalla fama dell'altro, visto che la gente spesso li confondeva o li additava come parenti.
Entrambi si sono detti molto contenti di conoscersi, finalmente, dopo tanti anni. E' stato un incontro simpatico.
Mario, che è stato indicato da un suo collega come l'autore del più brutto brano nella storia di Sanremo, tanto da provocare (testuali parole) degli "attacchi di colite", alla fine della trasmissione ha cantato il pezzo incriminato: "Sette fili di canapa".
Quasi rimosso dalla mia memoria, questo brano mi ha folgorato: i testi sono di una visionarietà e di una bellezza non comune.
Il pezzo, presentato al Festival di Sanremo del 1983, ha un ritornello che è quasi un surrogato dell'attacco iniziale, e basa gran parte del suo fascino proprio sul testo.
Le parole, sin dall'inizio, sono scandite, quasi col fiato sospeso, in maniera singolare, a mo di filastrocca. Vi riporto il testo per intero:
C'erano, sette fili di canapa,
e un Abele da uccidere,
sotto un cielo di rame.
C'erano sette medici a tavola,
e un amore già anemico,
dissanguato per strada.
Rit: Unirò sette fili ed avrò perduto
Unirò sette fili e sarò perduto
C'erano sette Cristi a Follonica.
ed un ateo sul Sinai,
bivaccava e aspettava.
C'erano, poi,
sette topi sull'edera,
e più giù un cavaliere
giovane,
preso da una tagliola.
Rit: Unirò sette fili ed avrò perduto,
Unirò sette fili e sarò perduto.
Il numero sette ricorre come qualcosa di infausto per l'autore, non si capisce bene il perchè.
Ad ogni verso c'è una beffa, di persone che hanno delle aspettative, ma vengono giocati pesantemente dalla vita.
La scansione dei versi e il loro alternarsi ricordano vagamente una preghiera.
Una perla, questa canzone, recuperata dall'oblìo degli anni.
1 commento:
A me piace Van de Sfroos, ma dopo questa sparata, ho eliminato i suoi cd dalla mia raccolta.
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