Ed eccoci qui, di fronte a ciò che tutti sapevano che prima o poi sarebbe accaduto, e che molti, tra i vertici amministrativi locali, hanno ignorato.
Il fiume Pescara è straripato, e la corrente forte ha distrutto numerose imbarcazioni. Ieri notte, Lunedì 2 Dicembre, alle 23:45, ho visto con i miei occhi tre barche, di cui una molto bella e in buono stato, trascinate dalle acque e rovesciarsi.
La "zattera" che per un breve periodo ha trasportato i passeggeri da un'ansa all'altra era già fuori uso, e giaceva, rovesciata sulla banchina nord.
I danni però, al di là di quanto ho potuto constatare personalmente, sono molto più ingenti. In questi ultimi anni ho segnalato diverse volte su giornali e siti internet, la necessità di costruire un porto vero e proprio a Pescara, visto che l'attuale porto-canale non è altro che l'allocazione dei pescherecci nel fiume, senza infrastrutture degne di questo nome.
Le barche nel fiume sono esposte alle piene. Le ultime esondazioni, prima di quella attuale, erano avvenute nei primi anni '90. Venne richiesto puntualmente il riconoscimento dello stato di calamità naturale ed i fondi governativi per i risarcimenti.
Nell'Ottobre del 2012 scrissi un articolo che non piacque ad alcuni esponenti locali, che da allora non mancano di esternarmi la loro contrarietà. In quei giorni delle abbondanti piogge avevano fatto ingrossare il fiume, che rischiava di uscire dagli argini. Io scrissi semplicemente che i ritardi nel dragaggio aumentavano i rischi. Le responsabilità erano da attribuire ai vertici locali e all'incuria degli ultimi governi romani.
Lo scrissi e lo confermo, anzi fui anche tenero. Oggi parte del fango nei fondali è stato rimosso, ma la sciatteria e la disattenzione rispetto all'esigenza di un porto vero e a tutto ciò che riguarda il fiume sono le stesse. Con grande intraprendenza, e con il contributo dell'industriale Gilberto Ferri, una ventina d'anni fa venne costruito, grazie ai fondi Cee, il nostro bellissimo porto turistico.
Nulla da obiettare in merito. Mi rincresce constatare come siano stati reperiti i fondi per un porto che serve allo svago e alle vacanze dei ricchi, in cui vi sono barche frutto di evasione fiscale, mentre non esiste nemmeno un dibattito sulla necessità e su come trovare risorse per costruire un porto vero, quello che serve per i traghetti e per le navi dei pescatori.
Una città che si chiama Pesca-ra vede ogni giorno umiliati i pescatori, che nel mare ci lavorano. Per loro la barca è la loro vita, il loro lavoro, il mezzo per sostentare i figli. Immaginiamo quali prospettive potrebbero aprirsi con un porto degno di questo nome, costruito fuori dall'alveo del fiume come il porto turistico. Potrebbero nascere nuove rotte per paesi come l'ex Jugoslavia, l'Albania la Grecia, per il trasporto dei passeggeri.
Potrebbero fiorire scambi mercantili, nella misura consentita dai fondali non molto profondi. Nondimeno, la pesca potrebbe finalmente rifiorire, senza le stucchevoli vicende degli ultimi anni. Nonostante viviamo in tempi di austerity, non è affatto impossibile realizzare una nuova struttura portuale a Pescara, ma il presupposto essenziale è la volontà politica da parte dei nostri rappresentanti cittadini e regionali.
Giacciono, già da diversi anni, 90 miliardi di euro di fondi europei destinati alle infrastrutture. Ne basterebbe una piccola parte per realizzare il nuovo porto. Inoltre si potrebbero coinvolgere nell'investimento le compagnie di trasporti navali, che poi gestirebbero lo scalo e i relativi introiti.
Queste però sono solo proposte, da approfondire, discutere, confrontare con altre. L'importante è che si apra un dibattito in merito. Non saranno infatti i marciapiedi nuovi a rilanciare Pescara, ma progetti ambiziosi che incidano sulle infrastrutture.
Andrea Russo
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