La grande tv del passato e del presente in Dvd e Vhs... |
Fa rabbia come a volte si voglia far credere che il Pil sia un indicatore di crescita economica.
La crescita economica che io riconosco è quella che si trova nelle tasche dei cittadini e nel loro accesso ad un lavro vero, con la l normale, non a progetto, non precario, non in nero.
Si cerca ancora oggi di far credere che L'Italia, che era stata salassata dai provvedimenti tassativi degli anni '90 (purtroppo necessari) per risanare il debito pubblico, fino al 2006 era in crescita, quando già da anni le fabbriche chiudevano e la disoccupazione e il precariato aumentavano.
Nè mi incantano coloro che hanno negli anni passati snocciolato dati sull'aumento dell'occupazione, senza scomodarsi a dire che gran parte di questa era lavoro temporaneo, e che il lavoro con contratto a tempo indeterminato diminuiva.
Bastava e basta, al cittadino, fare i conti nelle proprie tasche e in quelle dei propri vicini per non riconoscersi in queste buone novelle.
Da quando è sopraggiunto l'euro, il processo di depauperamento industriale italiano si è velocizzato drasticamente. Una manodopera che già faceva fatica a reggere il passo dei paesi emergenti, con la moneta pesante ha dovuto dire adieu alle speranze di una vita tranquilla.
Gli imprenditori italiani investono sempre più nei luoghi dove la manodopera costa meno. La stessa cosa l'hanno fatta gli operatori stranieri che avevano investito in Italia, e poi non l'hanno trovato più conveniente.
Ciò che le amministrazioni locali e i governi succedutisi finora hanno fatto è stata l'elargizione di fondi per salvare posti di lavoro, (soldi della comunità, denaro i tutti, la cui scomparsa dalle casse statali ha comportato ulteriori scompensi e indebitamenti).
Dare soldi ad una azienda per salvare il posto ai suoi lavoratori è una strategia dal fiato corto, se si ci limita solo a quello: dopo un anno o due (
è lampante questo in Abruzzo) la stessa azienda beneficiaria si trova allo stesso punto di prima. Se una attività economica non è in grado di stare nel mercato, e di reggere la concorrenza, e di mettersi in condizione di trovare da sola le soluzioni vincenti, l'assistenzialismo produce solo danni.
L'era dei Sovchoz è finita, e questo se lo augurano tutti, datori di lavoro e sottoposti.
Cosa può spingere un'industriale a dire: sì, investo in Italia?
Abbiamo una moneta e un costo della vita forti, e i salari sono alti.
Abbiamo tasse molto elevate.
Abbiamo una burocrazia elefantiaca e lenta, oltre che poco trasparente.
Alcune proposte.
- Miglioramento della formazione dei lavoratori. (Non mi aspetto miracoli dall'Università), ma alcuni poli d'eccellenza sono auspicabili.
- Miglioramento delle infrastrutture. Investimenti per nuove autostrade e per una rete ferroviaria ad alta velocità.
- Potenziamento degli scali portuali ed aeroportuali e delle rotte per l'estero, contestualmente ad accordi commercali coi paesi interessati.
- Puntare sulla qualità: il made in Italy, da sempre, ne è sinonimo.
Investire nella ricerca: chi è padrone di una nuova tecnologia è il padrone del vapore (Bill Gates insegna).
- Favorire il turismo: abbiamo il patrimonio culturale più elevato del mondo.
-Ridurre la spesa pubblica colpendo gli sprechi e ridurre le tasse a cittadini ed imprese.
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