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domenica 28 settembre 2008

I sindacati talvolta fanno l'interesse dei lavoratori, talvolta no.

Con la loro visione statalista e con la prassi sistematica del ricorso agli umori poco razionali delle folle in piazza, i sindacati sono uno dei principali ostacoli alla produttività.
Nessuno nega che essi svolgano una lodevole attività negli interessi dei lavoratori, a mio avviso non tanto nelle grandi trattative collettive, quanto nelle vertenze di tanti inermi lavoratori che si rivolgono a loro.
Ma i sindacati sono qualcosa di più complesso; in molti usano il sindacato come un trampolino di lancio per la politica (vedi Del Turco, Cofferati e D'Antoni), in molti fanno capo ad interessi di partito.
Organismi come la Cgil, la Cisl, la Uil, l'Ugl, hanno delle chiare aderenze politiche.
Diversa cosa sono i sindacati corporativi, che tutelano singole categorie di professionisti.
La visione dell'economia e della politica dei sindacati spinge, in ogni singola battaglia che conduce, verso uno statalismo a senso unico, che va a danno degli stessi cittadini.
Mantenere milioni di dipendenti al servizio dello stato va a danno dei cittadini stessi: ci sono tanti cittadini che lavorano, col comodo posto statale, ma tutto questo ha dei costi, che gravano su loro stessi.
Più dipendenti pubblici, più tasse, più economia ingessata, il fare impresa viene scoraggiato. Nessuno, al giorno d'oggi, vuole un modello sovietico o vetero-cinese, uno stato in cui tutti lavorano e hanno una casa ma muoiono letteralmente di fame e di stenti.
Io, personalmente, non voglio più la dittatura delle minoranze, in cui anche solo 100 persone che scendono in piazza condizionano dinamiche che riguardano il paese intero.

Riporto integralmente, nel prossimo post, un'intervista ad un noto docente universitario italiano che risiede negli USA.

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