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mercoledì 2 luglio 2014

Analisi dei Mondiali 2014: quando Davide si ribella a Golia




(Mario Balotelli in goal contro l'Inghilterra - Foto : Getty Images South America)

(Pubblicato su: www.pescaraoggi.it)

In questi Mondiali del 2014 le sorprese non sono mancate. Per noi Italiani l'eliminazione al girone è stata un boccone amaro da mandare giù, ma se stigmatizziamo il quadro generale possiamo trarne sollievo.
Il mesto ritorno a casa degli azzurri viene sminuito infatti se si pensa che anche Spagna e Inghilterra hanno salutato il torneo in largo anticipo.

Soprattutto, il girone in cui i nostri si trovavano a competere era molto duro. Costa Rica e Uruguay si sono dimostrate squadre ben organizzate e forti in ogni reparto.

Se guardiamo al prosieguo del campionato, scopriamo poi che agli ottavi la Francia ha faticato non poco ad avere la meglio sulla Nigeria; questo è avvenuto solo nel secondo tempo e dopo l'espulsione ingiusta del forte centrocapista africano Onazi.

Il Brasile ha dovuto fare i conti con un Cile terribile, che si è arreso solo ai rigori. Il capitano Thiago Silva è scoppiato in lacrime, dopo l'ultimo rigore, per sciogliere la tensione accumulata.

L'Algeria è stata superata per 2 a 1 dalla Germania, ma i goals sono giunti solo nel secondo tempo supplementare, quando André Schürrle e Muller si sono ricordati di avere un po' più di tecnica degli avversari. 

Infine la forte Argentina, tutt'altro che fuori forma e imbelle, ha avuto la meglio solo al 119', ovvero alla fine del secondo tempo supplementare, su una Svizzera tonica e fantasiosa (sì avete capito bene: la Svizzera! Una nazionale che fino a pochi anni fa avrebbe festeggiato solo per la qualificazione alla fase finale dei mondiali).

Le stupidaggini sul nostro calcio e sulla nazionale

Alla notizia della nostra eliminazione, si sono scatenate le solite voci becere, eccessive, liete di dare sfogo al loro eterno piagnisteo.
Balotelli è diventato da subito il parafulmine di tutte le invettive urbi et orbi. Se piove, è colpa di Balotelli. Se c'è la crisi, è colpa della sua cresta punk e del fatto che ride poco.

Un articolo di fondo di "La Stampa" se l'è presa con SuperMario solo perchè dopo la partita dell'eliminazione con l'Uruguay si è fatto la doccia in fretta ed è entrato per primo sul pulman.

Una pesante caduta di stile è giunta dai veterani Buffon e De Rossi, eroi del Mondiale 2006, che hanno dato la colpa ai più giovani,  forse per la paura di essere accantonati proprio perchè rappresentano il passato. 

Un comandante non dà mai la colpa ai suoi fanti se ha perso la guerra. Questo lo sa Mister Cesare Prandelli, che si è dimesso immediatamente insieme al presidente della federazione Luigi Abete.

Prandelli ha allenato la nazionale ad Europei e Confederations Cup, facendo una discreta figura, per poi fare flop al mondiale brasiliano. Ha esagerato nel voler imitare gli spagnoli, mettendo in campo la brutta copia del loro gioco, presentando una versione lenta e prevedibile che ha sacrificato molti dei nostri attaccanti in grande forma.

Pazienza, ci ha provato, ma avuto il buon gusto di assumersi le proprie responsabilità e di dimettersi. Cesare Prandelli ai suoi tempi ha già dimostrato di essere un buon giocatore e un ottimo allenatore. E' un esempio di stile e di onestà e per questo rappresenterà sempre degnamente il calcio italiano.

Tra le stupidaggini che sono state dette, eccone un'altra: In Italia non si valorizzano i giovani calciatori. Ma chi l'ha detto? Negli ultimi anni i grandi clubs di casa nostra sono strati ben contenti di affidare i propri campioncini in erba ai sodalizi di serie B e Lega Pro. In quest'ultima categoria sono stati dati dei premi  in denaro alle squadre che schieravano un certo numero di "primavera".

I risultati si sono visti: negli ultimi anni sono venuti fuori ottimi elementi come Balotelli, Destro, Verratti, Immobile, Insigne, Borini, Perin e Icardi tanto per fare una lista non esaustiva.

Si dicevano le stesse cose nel 2006, prima del Mondiale, poi però alzammo la coppa al cielo e gli stessi che scrivevano titoloni negativi sono saliti sul carro del vincitore.

Possiamo sorridere

Ci scordiamo troppo spesso di essere stati coloro che hanno vinto il Mondiale per ben quattro volte, secondi solo al Brasile che ha 5 titoli e davanti alla Germania (3 titoli), Argentina e Uruguay (2) Francia, Spagna e Inghilterra (1).

In definitiva il calcio Italiano, pur essendosi ridimensionato a livello di clubs per via della crisi e di programmi di marketing  non molto avanzati, è ancora molto competitivo.

E' vero che gli Inglesi, che a livello di nazionale stanno peggio di noi, sono da prendere però come esempio per il loro management: creano stadi di proprietà e strategie che permettono di fare incassi molto più alti.

C'è dell'altro però su cui dobbiamo imparare da loro: l'ironia e il non prendersi sul serio. Quando Balotelli ha fatto il gesto dei due goals incassati contro di noi dall'Inghilterra, una testata inglese ha riportato la foto e ha scritto: "Sì Mario, lo sappiamo".

In terra d'Albione, dove il calcio è nato, ricordano che si tratta solo di un gioco.
Andrea Russo




martedì 1 luglio 2014

Per fare un Tony Blair, ci vuole prima una Thatcher





Storia di una Gran Bretagna riformata e di un'Italia ancora ferma

Matteo Renzi è stato accostato da alcuni addetti ai lavori a Tony Blair, il quale, relativamente giovane (43 anni) si sedette sulla poltrona di Primo ministro britannico, rimanendovi per più mandati dal 1997 al 2007. Rincresce sottolineare come il livello dei commentarori politici, anche presso testate di caratura nazionale, sia divenuto piuttosto modesto. 

Si dimentica che Tony Blair ha prodotto una politica sulla falsa riga di quella di Margaret Thatcher: il perseguimento di un modello di Regno Unito che punta sulla finanza e sui servizi, con una moneta forte, bassa inflazione e un grado di tassazione basso. 

L'ammontare delle tasse medie che gravano sul singolo cittadino italiano assomigliano molto di più all'Inghilterra di Harold Wilson e di James Callaghan. Si arrivò ad una tassazione massima di 85% del reddito. 

Sotto l'egida del laburista James Callaghan si verificò quello che fu definito "l'inverno dello scontento". Nella Gran Bretagna dell'epoca i sindacati la facevano da padrone, creando scioperi selvaggi che danneggiavano tutti, con esiti drammatici. 

Inoltre l'inflazione era alta, e per pareggiare la perdita di potere di acquisto dei salari bisognava aumentare gli stipendi. Questo generava però altra inflazione. Callaghan cercò di alzare meno i salari rispetto all'inflazione, in modo da bloccare la spirale. Nacquero scioperi incontrollati, senza una regola di civiltà e di buonsenso. 

Risultato: ci fu un periodo in cui le ambulanze non rispondevano alle chiamate, i cimiteri lasciavano i cadaveri non seppelliti e per le strade di Londra l'immondizia non veniva raccolta. 

Si creò una grave situazione di caos e di incertezza e si tornò alle urne.

Nel 1979 dunque subentrò al potere, in un'elezione anticipata, la conservatrice Margaret Thatcher. Tra i primi provvedimenti che ella prese ci furono l'abbassamento delle imposte dirette e l'aumento di quelle indirette: venivano così scoraggiati i consumi interni (con relativo abbassamento dell'inflazione) e favorite le esportazioni. 

La bilancia commerciale implementò il suo attivo e quando in un paese le esportazioni  superano le importazioni, la sua moneta si rafforza. 

Inoltre venne alzato il tasso d'interesse del denaro da parte della Banca centrale. Quest'ultimo provvedimento fu determinante per il contenimento dell'inflazione. 

La Thatcher continuò poi nella sua politica di costruzione di una moneta forte a cui si associassero bassa tassazione e moderato aumento dei prezzi. Per farlo liquidò le aziende di stato improduttive, privatizzandole: la macchina pubblica divenne più snella, più efficiente e meno sprecona.

Tagliò di molto la spesa pubblica, abbassando il livello generale di imposte. 

Fece inoltre di Londra quello che è oggi, ovvero il cuore della finanza europea e uno dei maggiori poli finanziari del mondo, capace di attrarre risorse e investimenti. 

Altri aspetti della politica Thatcheriana

Il governo della Lady di Ferro (così soprannominata dai russi) si segnalò per una linea della fermezza contro le strategie militari sovietiche. Fu durissima contro i terroristi dell'Ira. Favorì l'acquisto delle case popolari da parte degli assegnatari. 

Inoltre Margaret Thatcher si oppose fermamente all'ingresso della Gran Bretagna nella moneta unica, e questo le costò una rivolta del suo stesso partito, che la sfiduciò dopo tre mandati elettorali.

La Thatcher sulla moneta unica

Ecco cosa predisse la Thatcher sulla moneta unica, poi denominata euro. La storia le ha dato ampiamente ragione: 

"La Banca Centrale Europea non sarà solidale con i paesi più deboli del mediterraneo; la Germania, affetta dalla sua paura dell'inflazione derivante dalla Repubblica di Weimar, si opporrà alla creazione di nuova moneta, imponendo una valuta troppo forte agli altri stati; inoltre essa dominerà l'Europa, visto che, dopo la riunificazione, avrà un peso maggiore di tutti gli altri paesi membri"

Tony Blair: un semplice manutentore dello status quo

Tony Blair, dopo la rivoluzione in senso liberale da parte della Lady di ferro, si limitò a perseguire la politica della Gran Bretagna in cui prosperano tuttora compagnie di assicurazioni e banche. L'unica correzione significativa della precedente politica fu la reintroduzione del minimum wage, ovvero il salario minimo.

La Thatcher, influenzata dalle teorie di Milton Friedman, credeva nella libera contrattazione tra datore di lavoro e sottoposto. Depotenziò dunque i Wage Councils, organi che regolavano e sorvegliavano la retribuzione salariale e a cui industrie e dipendenti dovevano fare riferimento in materia di accordi di lavoro.

Il suo successore e collega di partito John Major non alterò tale stato di cose.

Tony Blair invece pensò bene di reintrodurre il salario minimo, con una retribuzione oraria di 3,60 sterline, adeguata nel corso degli anni a seconda del costo della vita e giunta oggi a 6,30 sterline orarie.

Fu un gesto di civiltà che frenò la corsa al ribasso delle retribuzioni, visto anche che aumentavano gli immigrati disposti a fare i lavori più umili per salari da fame.

Il compito arduo di Renzi

Matteo Renzi non ha preso le redini di un paese in grande salute economica e con un basso livello di disoccupazione come toccò a Blair.

I disoccupati sono saliti al 12,6% del totale, il paese è fermo e non ha certo una attrattività per le aziende straniere, sia per le alte tasse che per la burocrazia farraginosa. Non ha inoltre un polo finanziario come la city di Londra e ha perso la sovranità monetaria in nome di una moneta unica europea che sì ha contribuito a frenare l'aumento del debito pubblico, ma ha portato l'Italia in recessione e l'ha resa schiava dei poteri bancari e dei voleri di Berlino.
Diverso era invece il grado d'indipenenza della Gran Bretagna di Blair che aveva la propria sterlina e la facoltà di decidere le proprie politiche monetarie.

Conclusione

Non paragoniamo più Renzi a Blair: quand'anche essi abbiano delle qualità personali in comune, si tratta di due leaders chiamati ad operare in contesti e periodi storici diversi e che devono per forza di cose procedere in maniera differente.
Andrea Russo