Premessa
Del resto gli artisti di qualche anno fa avevano più chiaro il concetto di lasciare una traccia di sé nei secoli successivi tramite la propria opera.
Il regista Mike Nichols, lo sceneggiatore Kevin Wade e gli altri partecipanti ed autori del film stanno vincendo questa scommessa.
Confesso di non aver trovato nemmeno una recensione decisamente negativa di "Una donna in carriera", titolo Italiano di Working Girl (ragazza che lavora).
Eppure i punti deboli ci sono e benchè l'opera sia a tratti gradevole, è giusto farli venir fuori una volta per tutte.
Il contesto
Erano gli anni in cui il cinema ci proponeva gli Yuppies, ovvero giovani rampanti, che, spesso senza particolari doti o titoli di studio, raggiungevano il successo con datori di lavoro vogliosi di dargli tutto non si sa bene per quale oscuro motivo.
In "Wall Street" Charlie Sheen entrava nelle grazie del suo capo Michael Douglas, che, senza un motivo valido e razionale, gli dava soldi, gli faceva fare carriera e perfino lo faceva affiancare da una donna a sua disposizione.
Finiva male.
In "Risky business" uno studentello di liceo impersonato da un giovane Tom Cruise si improvvisava magnaccia, rubando giovani escort a un mafiosetto altrettanto imberbe.
Senza svelare troppo, finiva a tarallucci e vino, col gangster che gli diceva: "Per questa volta non ti ammazzo perchè mi stai simpatico" (glielo diceva mentre si riprendeva le mignotte e altro ancora, portandosi via tutto a bordo di un camion).
Ce ne sono anche altri di film così ma soprassediamo.
La trama del film
Tess (Melanie Griffith) è una dolce ragazza povera, priva di istruzione universitaria.
Trova il suo ragazzo a letto con un'altra, ma dopo poco sarebbe disposta anche a perdonarlo.
Cambia vari lavori da segretaria, tra una molestia sessuale ricevuta e una reazione troppo impulsiva.
Finisce a lavorare in una ennesima holding come assistente di Katharine, impersonata da Sigourney Weaver.
Tess fa le scarpe a Katharine
(apparentemente molto più qualificata) in tre modi:
rubandole il fidanzato (prima inconsapevolmente, poi a ragion veduta) ricco e potente;
rubandole anche l'identità dopo aver inizialmente solo millantato di essere una donna di affari;
trovando una idea di business vincente venutale in mente leggendo un periodico.
Tuttavia Katharine dal canto suo non è una santa, giacchè tenta di rubarle l'idea.
La Griffith deve per forza sembrare quella buona, la Weaver quella antipatica e misera.
A dire il vero è più il contrario a conti fatti.
Niente da fare dunque: alla fine, nonostante la Weaver sia una manager che si suppone con tanto di laurea e master e che ha lavorato anni spalla a spalla con i capi, viene licenziata con un calcio nel sedere;
la Griffith invece si ritrova di colpo a fare la dirigente, in un grattacielo con tanto di pareti a vetro.
Personaggi ed elementi del film
Questa mancanza di realismo non si spiega nemmeno lombrosianamente. Si sa che nei film si asseconda l'estetica.
Tuttavia, se Melanie ha quel faccino che buca lo schermo, una linea morbida del corpo, la snella Sigourney, educata ed elegante, la buttiamo forse via?
Di contorno abbiamo un Harrison Ford spaesato che sembra dire: "Chi sono, dove mi trovo e che ci faccio qui?", tirato da una parte e dall'altra da due giovani e avvenenti donne (e chiamalo scemo).
Riconosciamo anche un ancora poco noto Alec Baldwin nella parte del fidanzato fedifrago, suscettibile e buono a nulla, che si sorprende se una non lo vuole sposare pochi giorni dopo essere stato trovato a letto con un'altra.
Non possiamo tralasciare Joan Cusack, che fece colpo sul pubblico, nella parte di amica e complice della protagonista, mostrando un taglio di capelli e una recitazione abbastanza sopra le righe.
Nei titoli di coda abbiamo anche una canzone che all'epoca piacque molto: "Let the river run", di Carly Simon, una sorta di gospel squillante ed allegro.
Era un brano passabile, ma anch'esso, come il film, un po' sopravvalutato.
Accoglienza del pubblico e della critica
Questa commedia, leggera, metropolitana, romantica quanto basta, incassò grandi cifre al botteghino. Perfino la critica, che in genere spacca il capello in quattro ed eccede nella condanna di dettagli superabili, fu all'uscita ed è ancora oggi, stranamente morbida.
Risultato:
un Oscar vinto per la migliore canzone,
un Golden Globe a Melanie Griffith come migliore attrice protagonista,
un Boston Society film of Critics a Melanie Griffith come attrice protagonista e uno a Joan Cusack come miglior attrice non protagonista.
Considerazioni finali
Il film regge abbastanza bene agli urti del tempo e lo vediamo ancora trasmesso dalle tv Italiane.
Tuttavia sarebbe il caso di collocare "Working girl" nelle giuste caselle della storia della settima arte, avendo raccolto molto con una bonaria versione (una tra le tante) del giovincello in carriera.
Si soddisfa il pubblico nelle sue esigenze di avventura amorosa e di successo.
C'è molto mestiere e furbizia, la seducente immediatezza dei prodotti commerciali degli anni '80, con i limiti che ne conseguono: mancanza di uno stile personale e di raffinatezza unite al gusto dell'esagerazione.
Tante sono le approssimazioni narrative, troppa è la semplificazione del sentimento, della psicologia delle persone e del mondo della finanza.
Per di più si fa ricorso a qualche battuta e a qualche scena un po' puerile come captatio benevolentiae, che se come espedienti hanno anche funzionato, riducono le ambizioni artistiche.
In sintesi: il film è carino, leggero, piacevole, ma è stato trattato come un capolavoro ed ogni cosa ha la sua dimensione, altrimenti una 128 è come una Thema e la pensione Maria Rosaria Junior diventa l'hotel Sheraton.
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