Il nuovo presidente degli Stati Uniti è già molto amato; non è ancora entrato in carica (lo farà il venti Gennaio), ma raccoglie simpatie trasversali in patria e all'estero; è giovane (47 anni portati alla grande), è carismatico, ha un bell'eloquio.
Ha una particolarità in più: è il primo presidente nero della storia. Per meglio dire, non proprio nero: la madre bianca, il padre kenyota. E' cresciuto con i nonni alla Hawaii, ha studiato, è diventato senatore, e poi, quasi inaspettatamente, ha riscosso tali consensi da poter puntare alla casa bianca. Il suo sogno, come quello di molti americani, si è realizzato.
Non di sogni, però, vive la Politica.
Gli americani hanno assistito ad una lungo e tumultuoso regime di campagna elettorale: prima le primarie dei due partiti, finanziate dagli industriali e dalla gente comune, poi le elezioni politiche, combattute a suon di spot televisivi, di comizi in tutti gli oltre cinquanta stati U.S.A.
La campagna elettorale, in america come all'estero, è ormai basata, i buona parte, sulle apparenze: il costo dei vestiti di Sarah Palin, per molti, ha contato meno dei fatti o dei propositi espressi.
Ora gli americani hanno votato il loro presidente; c'è secondo me un entusiasmo eccessivo, per un uomo che non ha ancora avuto esperienze significative di governo, e che non ha ancora avuto la possibilità di mettersi alla prova.
Lo giudico un entusiasmo eccessivo soprattutto per coloro che, vivendo all'estero, sanno ancora meno di lui o mettono in relazione la vittoria del Partito Democratico americano con le sorti dei partiti di casa propria.
Stucchevole è stata la dichiarazione dei leaders del PD italiano: "Abbiamo vinto anche noi" .
La sinistra americana è molto diversa dalla sinistra italiana: loro non sono mai stati nè comunisti, nè socialisti, nè ora, nè 15 anni fa, quando si passò dal Pc al Pds.
L'America intera, visceralmente, è sempre stata avversaria del comunismo. Lo ha combattuto, a torto o a ragione, in Corea, in Vietnam , e durante la guerra fredda.
E' singolare notare come proprio coloro che più, sotto sotto, disprezzano o disprezzavano gli Stati Uniti e i suoi valori ora siano i più interessati alla loro vicende e siano in prima linea a fare il tifo con l'ingenuità della gente della strada per il nuovo presidente.
Bisogna aspettare i fatti, e vedere cosa sarà in grado di fare, Barack Obama, trovandosi di fronte alla crisi economica e a dinamiche di portata mondiale.
Visto che dai destini degli Stati Uniti dipendono in buona parte quelli del mondo intero, tutti ci auguriamo che egli sia una guida illuminata per il suo paese.
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