venerdì 5 settembre 2025

Riflessione di Lorenzo Valloreja su Gaza e sulla situazione politica internazionale.





Ricevo e pubblico una riflessione di Lorenzo Valloreja, esponente politico attivo in vari campi, tra cui l'insegnamento e il giornalismo. 

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LA VITTORIA MORALE DI HAMAS, L’ALTARE E IL MARE: LUCI DI UMANITÀ NEL BUIO DI GAZA

Così accadde al tempo delle invasioni barbariche; così fu durante l’ultima campagna d’Italia, quando il Papa, a differenza del Duce e del Re, si recò tra le vittime del bombardamento di San Lorenzo. 

Così accade oggi, con la decisione congiunta del Patriarca cattolico di Gerusalemme, Pizzaballa, e di quello ortodosso di Terra Santa, Teofilo, di non abbandonare Gaza; 

e così accadrà domani, in altre situazioni spinose che mostreranno ancora una volta chi è sinceramente vicino al dolore del prossimo e chi lo è soltanto a parole. 

Vere e proprie luci di speranza in un periodo di buio sovraffollato da pazzi e irresponsabili. Accanto a queste figure religiose, ci sono i laici del “Global Sumud Flotilla”, 

che tentano — umanamente e nobilmente — di rompere il blocco navale israeliano al largo di Gaza. 

Un blocco che, da anni ormai, impedisce non solo a Hamas ma anche, e soprattutto, alla popolazione civile della Striscia di ricevere via mare qualsiasi approvvigionamento:

alimentare, sanitario o persino ludico-pedagogico.

Un’azione, quella della “Freedom Flotilla Coalition”, che, se riuscisse, non solo darebbe sollievo agli inermi civili, ma metterebbe anche nel ridicolo tutti gli Stati nazionali che in questi anni non sono stati in grado di compiere nulla di tangibile affinché Israele desistesse dalle proprie politiche (si vedano, a tal riguardo, 

le dichiarazioni agghiaccianti di politici israeliani come Moshe Feiglin, Amit Halevi e Nissim Vaturi). 

Va però precisato: se l’azione dei laici è mossa da puro spirito umanitario, allora è nobile quanto quella dei religiosi e, per quel che mi concerne, va appoggiata senza se e senza ma. 

Se invece fosse realizzata soltanto per motivi ideologici, cioè per il puro gusto di essere — come si dice oggi — “pro-pal” e contro Israele a prescindere, allora mi troverebbe incredibilmente contrariato. 

Perché ciò che rivendico, come intellettuale, in questi periodi di buio, è la possibilità, anzi la necessità, di saper leggere e riconoscere tutte le sfumature. 

Perché, come ricordava il compianto Luciano De Crescenzo, il mondo non è fatto solo di bianco e di nero: nel mezzo c’è il grigio, con tutte le sue gradazioni. 

Capita così che impedire di fatto a due artisti di fama internazionale, tra cui l’israeliana Gal Gadot, di essere presenti alla Biennale del Cinema di Venezia non sia una sanzione atta a colpire chi ha leve a Tel Aviv né a scardinare l’opinione pubblica dei propri sostenitori, ma semplicemente un atto di barbarie o, se vogliamo essere più soft, di cieco tifo da stadio. 

E con la cieca e sterile partigianeria non si può certo andare lontano. Un conto è essere antisionisti, un altro è essere antisemiti. 

D’altronde, se un professore dell’università italiana — non un leone da tastiera, come abbiamo avuto modo di sapere dalla stampa di questi giorni — invita a ritirare l’amicizia su Facebook a tutti gli ebrei, anche quelli “buoni”, che non si dissociano dalle attuali politiche israeliane, poiché, a suo dire, così facendo sarebbero complici di Netanyahu,

significa che la misura della partigianeria nel nostro sistema, con grave colpa dell’attuale esecutivo israeliano, è davvero colma. 

Ma questo non deve indurci a comportarci da trogloditi, per i quali chiunque non la pensi come noi diventa un nemico. 

In altri termini, questo non può essere il tempo delle decisioni irrevocabili: semmai dovrebbe essere quello dei pompieri e dei pontieri, per riportare il mondo, come diceva Battiato, “a quote più normali”. 

Nelle guerre c’è sempre chi vince e chi perde, e una volta tanto mi sento di condividere il “Mentana-pensiero” in toto quando, ospite del direttore Luca Telese, ha detto: 

 «Hamas ha fatto un gioco strategico molto forte. Prima del 7 ottobre della causa palestinese non ne parlava nessuno — oggi in ogni consesso pubblico, culturale, c'è invece un'empatia fortissima verso il popolo palestinese. 

E d'altra parte la reputazione di Israele nel mondo è la peggiore possibile, non c'è Stato più impopolare… una vittoria morale per Hamas… 

Ci sarebbe stato bisogno di tenere conto dell’ondata di antisemitismo che fatalmente si sarebbe sprigionata con un’azione militare dissennata e sanguinosa che siamo costretti a vedere… Se oggi ci fosse un referendum in qualsiasi paese del mondo, prevarrebbe la causa palestinese. Era questo il disegno politico di Hamas... Israele ha risposto e distrutto Gaza ma la “vittoria morale” della guerra è di Hamas.»

Dunque, se Hamas ha vinto ed Israele sta sempre di più perdendo consensi, perché continuare con questa guerra? A chi giova? Chi tra i pro-pal può credere veramente che, in Occidente, chi è per la liberazione degli ostaggi sia contro l’ipotesi dei due Stati in un’unica regione? 

E, allo stesso modo, chi a Tel Aviv può credere che chi sostiene i palestinesi di Gaza sia contro il diritto di Israele a esistere? Ma la domanda delle domande che invito a porre ai lettori è: 

siamo sicuri che contro la Palestina e i palestinesi ci sia solo Israele con i propri alleati, e non anche i tanti decantati Paesi arabi che, quando ne hanno avuto l’occasione, 

non hanno mai favorito la nascita di uno Stato palestinese, ma solo l’espansione territoriale dei propri confini, inglobando terre e popolazioni? 

Quindi, come avrebbe detto Giulio Andreotti a Eugenio Scalfari, «la questione è molto più complessa» di come spesso si dice. 

E la risoluzione della complessità passa esclusivamente attraverso il dialogo e la comprensione delle sfumature, non attraverso la semplificazione e la polarizzazione dei messaggi. 

Questo la Chiesa lo sa, ed è per questo che continua a essere, anche in quest’ultima vicenda, l’unico faro veramente credibile.

Lorenzo Valloreja

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