domenica 6 marzo 2016

Il nostro autorazzismo e quel sorriso che fa la differenza

Ogni volta che mi reco in un paese straniero e dico che sono italiano, la prima reazione della maggior parte degli interlocutori è questa: il viso si illumina ed esprimono parole di sincera ammirazione per il mio paese. Ne vengono presi ad esempio lo stile di vita, le bellezze naturali ed artistiche, il cibo, a volte anche altri fattori.

Qui in Italia lo sport nazionale è invece di commiserarci e lamentarci di tutto. Come dei bambini viziati, nulla ci va bene. Qualche anno fa, precisamente tra il gennaio e il febbraio del 2012, alcune località dove la neve c'è raramente o per pochissimi giorni all'anno, furono imbiancate per un paio di settimane. 

L'organizzazione per ovviare alle emergenze fu buona, le strade vennero tenute in buono stato, la neve fu spalata, il sale per scioglierla fu sparso e tutti gli organi volti alla protezione della popolazione si mossero.

Nonostante ciò, molti italiani, come mammolette isteriche, si indignarono dando la colpa a questa o a quella istituzione. I rappresentanti dei comuni e delle regioni non godono di troppa popolarità, ma non sanno ancora organizzare la danza della neve; 

non controllano i fenomeni naturali nè hanno il numero con prefisso del paradiso; non possono mettere dunque una buona parola su ciò che è naturale e quello che è soprannaturale.

In Italia impera la retorica che ci vuole, soprattutto per alcuni esponenti della stampa, dei cialtroni che non sanno fare niente bene.

Nella mia famiglia si è sempre lavorato e conosco molte persone valide che cercano di fare qualcosa di utile per dare un senso alla propria esistenza.

Abbiamo tanti motivi di vanto.

Forse ci scordiamo come si vive ancora oggi in diversi paesi disagiati del mondo. Abbiamo rimosso la cognizione che c'è stata una generazione che ha visto due guerre mondiali stravolgere la sua vita.

Non tutto è meglio altrove e l'erba del vicino non è sempre più verde.

Andate a controllare la qualità delle abitazioni medie in alcuni paesi anglosassoni. Paragonate il nostro cibo con tanti altri piatti stranieri.

Senza scomodare il genio dei nostri artisti e scienziati del Rinascimento, oltre che di altre epoche più o meno lontane, vi chiedo: chi ha inventato il moplen? Per chi non lo sapesse, il moplen è una plastica che viene utilizzata per moltissimi utensili e oggetti di varia natura.

Chi ha costruito la Ferrari, la Lamborghini, quale paese ha dominato per decenni nell'industria della moda?

Quante declinazioni del nostro artigianato e della nostra abilità manifatturiera vengono ammirate, copiate ed esportate in tutto il mondo?

Eppure giornalisti come Marco Travaglio si lasciano scappare in tv frasi come: "senza l'Europa saremmo le m...e che siamo sempre stati".

Non sono a favore del nazionalismo e nemmeno del patriottismo. Quando si dà per scontato che tutto ciò che viene fatto nel tuo territorio, nella tua regione e nel tuo paesello è il meglio del meglio, si diventa parte di un provincialismo odioso che non fa bene.

In tal caso si evita il confronto e si rifiuta, osservando altri modelli di pensiero, di azione e di vita, il confronto che ci stimola a cercare dei miglioramenti.

Invoco piuttosto l'equilibrio e il senso di autostima che stiamo perdendo. Lamentarsi della nostra classe dirigente è giusto, ma è anche inutile. Bisogna concentrarsi su azioni concrete, anche molto piccole, da applicare nel nostro piccolo spazio quotidiano. Dare l'esempio vale più di mille sermoni.

Un brutto vizio che noi Italiani abbiamo è quello di criticare gli altri e assegnare le colpe a determinate categorie di persone in cui raramente rientriamo noi stessi.

Spesso riteniamo di essere migliori degli altri, di votare meglio di altri e di non avere atteggiamenti da correggere.

Quand'anche ammettessimo di avere la nostra parte di responsabilità come singoli individui, a cosa servirebbe, se poi non ci muovessimo? 

Non rimane che renderci impermeabili alle notizie che ci fanno indignare ogni giorno. Viviamo con il sorriso e recuperiamo la spensieratezza dell'Italia pre-industriale. 

Se vogliamo il cambiamento, iniziamo a cambiare noi stessi. Parliamo meno e prendiamo l'iniziativa e sentiremo la positività animare le nostre braccia.

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