Due
posizioni storicistiche a
confronto; Massimo Vassallo
risponde alle tesi "meridionaliste"
sull'Unità d'Italia di Pino Aprile
(Dal libro di Pino Aprile, Terroni)
In
seguito all’unificazione
territoriale dell’Italia nel 1860,
la storia del risorgimento fu
scritta ed adeguata in funzione
dei nuovi padroni, i Savoia.
Il primo atto fu quello di
giustificare l’invasione –
avvenuta senza un motivo e senza
dichiarazione di
guerra – del Regno delle Due Sicilie,
uno Stato in pace
con tutti.
A
tal fine, fu inventata e propagandata la più grande
menzogna risorgimentale: quella del degrado e della
miseria del Sud povero ed arretrato, a differenza del
Nord, in particolare il Piemonte, ricco ed evoluto.
A questo punto, una domanda sorge spontanea: «Ma
Vittorio Emanuele II e Cavour furono allora dei
grandissimi fessi ad invadere e conquistare il Regno
delle Due Sicilie? Furono degli autolesionisti, perché,
così facendo, vennero a legarsi una simile “palla al
piede” e ad accollarsi tutti nostri guai?»
Invece non fu così. Costoro non erano né fessi, né
autolesionisti, ma dei grandissimi furbacchioni!
Al momento dell’unità d’Italia, la ricchezza dello Stato
meridionale, costituita dai depositi aurei esistenti
presso le banche delle Due Sicilie, era di poco inferiore
a mezzo miliardo di lire-oro (443,2 milioni) ed in
quantità doppia rispetto a quella di tutti gli altri Stati
italiani messi assieme (per un totale di 668,4 milioni).
Questi dati sono relativi al Primo Censimento Generale
del neonato Regno d’Italia (Cfr. Francesco Saverio
Nitti “Scienza delle Finanze”, Ed. Pierro, 1903, pag.
292).
A ciò si aggiungeva la solidità della stessa moneta
circolante, tutta in metallo pregiato (niente carta)
che, per il suo valore intrinseco, non si era mai
svalutata (quindi, l’inflazione, era un fenomeno
sconosciuto!) nei 126 anni in cui regnò la dinastia
borbonica.
Un’altra verità storica venne sapientemente occultata
dalla storiografia risorgimentalista, e cioè che, subito
dopo l’unità, fu combattuta una cruenta guerra civile,
con centinaia di migliaia di morti (1 milione di
meridionali restarono uccisi), passata alla storia come
lotta al brigantaggio.
I Savoia hanno fatto credere di aver “liberato” il Sud
dalle angherie e dalla fame. Ma dopo oltre 10 anni di
dura repressione, iniziò un massiccio esodo di popolo
dal Sud, ove prima erano sconosciute la
disoccupazione e l’emigrazione (dall’unità ai nostri
giorni, sono emigrati non meno di 26 milioni di
meridionali).
In realtà, la Sardegna dei Savoia era ben più depressa
della Sicilia dei Borbone e Napoli era ben più civile e
moderna di Torino.
Tralasciando di menzionare i numerosissimi primati (in
Italia e nel mondo: se ne contano più di cinquanta!),
ricordiamo che, nel 1856, alla “Mostra dell’industria di
Parigi”, il Regno delle Due Sicilie fu premiato quale
Terza Nazione Industriale al mondo. Nessun altro
Stato italiano fu menzionato (Cfr. Vittorio Gleijeses
“Storia di Napoli”, Ed. Ciano, pag. 852).
In campo tributario, l’erario napoletano era il più
prosperoso d’Europa, quantunque a fronte di un
sistema impositivo fiscale giudicato il più mite del
continente; durante il regno dei Borbone, infatti, la
pressione fiscale non venne mai accresciuta. Questo
sistema tributario era regolamentato da tre
sole leggi e poneva il massimo rispetto per la proprietà
e l’iniziativa privata, agevolando in ogni
maniera la ricchezza di ognuno e, quindi, quella
generale. L’unica imposta “diretta” esistente era la
fondiaria (10%), mentre imposte “indirette” erano
quella sulle dogane, sui tabacchi, sul sale, sulle
polveri da sparo e sulle carte da gioco (in sostanza,
tutte imposte di monopolio); poi quella sul
registro, quella sulla lotteria e quella sulle poste.
Tra
il 1815 ed il 1860, le aliquote di queste imposte
non furono mai aumentate, né furono istituite
nuove tasse. Tuttavia, le entrate erariali erano sempre
in espansione.
Come le ricchezze finanziarie del Regno della Due
Sicilie erano più consistenti di quelle piemontesi,
così il debito pubblico era più modesto; infatti, esso
consisteva in 59,03 lire pro-capite per i
meridionali, contro le 261,86 lire pro-capite per i
sudditi del Regno di Piemonte (Cfr. Giacomo
Savarese, “Le finanze napoletane e le finanze
piemontesi dal 1848 al 1860”, Tipografia di Gaetano
Cardamone, Napoli, 1862).
Per questo e non per altro, i piemontesi occuparono il Regno o
davvero qualcuno crede ancora alla bella favola
risorgimentale? Nella drammatica situazione socio-
economica in cui versiamo oggi, non l’avrebbero mai
fatto: si sarebbero legati una bella palla al piede! Ma a
Vittorio Emanuele II ed a Cavour – che fessi non erano
(e Garibaldi fu solo un utile strumento nelle loro mani)
– faceva molto gola un bel Regno, ricco ed opulento,
una vera e propria California Europea; Napoli fu vista
con invidia e cupidigia, in quanto appariva come una
gallina dalle uova d’oro, da catturare e spogliare.
Ma
c’è di più. La politica fiscale perseguita dallo Stato
unitario fu un caso di vero e proprio drenaggio di
capitali che, dal Sud, andarono al Nord.
Infatti, sentiamo cosa dice addirittura un
convinto
unitarista
meridionale, come Giustino
Fortunato, nella
Fortunato, nella
lettera
del 2 settembre 1899 a Pasquale Villari:
«L’unità d’Italia… è stata, purtroppo, la nostra
rovina
economica. Noi eravamo, nel 1860, in
floridissime
condizioni per un risveglio economico, sano e
profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se
questo
non bastasse, è provato, contrariamente
all’opinione
di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi
benefici
finanziari nelle province settentrionali in
misura
maggiore che nelle meridionali».
Pertanto,
la storia “ufficiale” andrebbe riscritta
basandosi sui documenti, ma i nostri libri di scuola e la
tanta letteratura risorgimentalista, questo non l’hanno
fatto e non lo fanno ancora: raccontano tante balle. Le
balle utili a chi invase un pacifico, tranquillo Regno,
conquistò, massacrò ed ebbe poi bisogno di costruirsi
una verginità di fronte alle future generazioni.
Sempre dal Censimento Generale del Regno d’Italia
del 1861 (dati ufficiali anche questi!) risulta che, nelle
“Due Sicilie”, erano attivamente occupate 6.983.826
persone, pari al 76,10% della popolazione. Vale a dire
che il Regno godeva decisamente di una invidiabile
situazione economica, impensabile ed inarrivabile per
noi meridionali di oggi, in tre parole: la piena
occupazione.
Questo risultato fu raggiunto con la grande politica di
investimenti e risanamento voluta dal re Ferdinando II
di Borbone.
L’emigrazione dalle nostre terre era un fenomeno
assolutamente sconosciuto; dopo l’unità d’Italia
assumerà toni da “Esodo Biblico”.
In conclusione, eravamo lo Stato più ricco d’Italia,
con il più elevato livello di occupazione, il minor
numero di poveri, la maggiore densità di popolazione,
il maggior numero di immigrati (dal Nord Italia e
dall’estero: pensate l’ironia!) e tutti occupati; la prima
normativa della storia sull’immigrazione fu la legge
emanata il 17 dicembre 1817 dal re Ferdinando I di
Borbone. Insomma, eravamo uno dei tre Stati più
potenti d’Europa, che a quei tempi significava del
mondo, mentre chi ci invase ed occupò era lo Stato +
più povero, sull’orlo della bancarotta (ce lo riferisce il
deputato piemontese Pier Carlo Boggio), talmente
indebitato che i Savoia dovettero cedere (rectius:
vendere) la loro terra d’origine, cioè la Savoia, alla
Francia.
Incredibile? No è la verità, a noi tutti abilmente
occultata, ma soltanto la verità.
Il tracollo del Sud nasce dopo l’unità d’Italia ed
aumenta in maniera esponenziale fino ai giorni nostri,
facendo fuggire i ragazzi da questa loro terra.
Prendiamone atto una volta per tutte e, dopo aver
fatto studiare loro tante sciocchezze, cominciamo a
raccontare ai nostri figli la verità. La Storia deve
essere maestra di vita e non di falsità! Ingannare i
nostri ragazzi (come lo siamo stati noi adulti quando
eravamo studenti) con queste colossali fandonie è
altamente diseducativo.
Purtroppo, anche Sergio Rizzo e Gianantonio Stella
(come lo scrivente) hanno studiato la storia d’Italia
adulterata e manipolata che si legge sui libri scolastici
scritti dagli storici di regime (sabaudo), per avvalorare
il punto di vista dei vincitori; tuttavia, non è mai
troppo tardi per documentarsi su qualche buon testo
più obiettivo. Ripartiamo allora dalla Storia d’Italia,
ma da quella “vera”, cioè quella basata su documenti
inoppugnabili, non sulle favolette inventate di sana
pianta e raccontate fino alla noia, per ben 150 anni, da
storiografi prezzolati e venduti al vincitore.
Consiglieri, pertanto, oltre ai testi già menzionati, di
leggere anche alcune pagine di Gramsci sulla
questione meridionale (può stupire che il padre del
comunismo italiano avesse una visione controcorrente
degli eventi post-unitari, da lui denunciati come messa
a ferro e a fuoco delle contrade meridionali e soprusi
sulle masse contadine: Gramsci prima e più di altri
aveva capito che l’unificazione era stata un’operazione
di colonizzazione violenta del Meridione), nonché la
recentissima opera di Pino Aprile, “Terroni” Ed.
Piemme, 2010
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Massimo Vassallo: - Fu la vittoria di uno stato
liberale su una nazione "piagnona".
A parte i toni e certe interpretazioni, sono
abbastanza d’accordo nella rivalutazione delle
Due Sicilie e in genere di tutti gli Stati
pre-unitari ma alla parola
“unitari”…il vecchio Piemonte cessò di
esistere nel 1847, allorché
Carlo Alberto (1831-1849, primo del ramo
Carignano) licenziò il conte Clemente Solaro
della Margarita, cattolico
conservatore e grande uomo di Stato veramente
sabaudo (Ministro degli Esteri, feb 1835-ott
1847); dal 4/3/1848
(promulgazione dello Statuto, annunciato l’8
febbraio) il Piemonte fu in mano ai liberali
(dal 1850 sempre più
anticlericali) che oppressero dapprima il
popolo piemontese (colpendo la Chiesa ed
oberando i sudditi di tasse) ,
in attesa di estendere nel 1859, 1860, 1866 e
1870 le loro “delizie” a tutta Italia, che
allora sì pronunciò il suo
“grido di dolore” (come da un articolo di “La
Civiltà Cattolica” del 1879 che parafrasava le
parole di Vittorio
Emanuele II nel 1859, ma con un senso
opposto)..il Piemonte, oltre alla vita dei
suoi figli sui campi di battaglia
della Lombardia, ci rimise anche Nizza e
Savoia, vergognosamente cedute ai galli da
Cavour nel marzo 1860 ! (e
nel 1947 ci portarono via anche Briga, Tenda e
il piano del Moncenisio)…in più il Piemonte,
già prima del 1859,
cadde
in buona parte in mano a non-piemontesi,
liberali esuli favoriti da Cavour a scapito
dei suoi
connazionali..cito Pietro Paleocapa, liberale,
veneto, di cui c’è la statua a Porta Nuova,
Pasquale Stanislao
Mancini, napoletano, che ebbe cattedre a
scapito dei subalpini, il gen. Fanti
(emilioano), il crudele e vigliacco gen.
Cialdini (suddito estense, già traditore dei
suoi Duchi, spietato contro i soldati
borbonici), il romagnolo Farini, il
bolognese Minghetti e poi il fiorentino
Peruzzi, il fiorentino Ricasoli ecc (tutti
costoro furono traditori dei loro
legittimi Sovrani; Minghetti e Peruzzi faranno
sparare sul popolo torinese nel settembre 1864
che protestava per il
trasferimento della capitale a Firenze, bel
al Sud i Borboni caddero anche e soprattutto
per il tradimento di molti “napoletani”,
esemplificati dal famigerato
Don Libo’ (settari e/o corrorri dall’oro
troppo facile quindi sputare veleno sui Savoia
che, di fatto, erano ormai quasi esautorati
politicamente…per
quanto senza dubbio “complici” dei governi
liberali e anticlericali
per dire, a Modena (Ducato Estense)
l’opposizione ai liberali e agli annessionisti
fu molto più forte che al Sud
(parlo della fase “ufficiale”, pre-
brigantaggio) e mentre l’Esercito di Francesco
II, pieno di traditori e imbecilli, si
arrese a Garibba’ spesso senza sparare un
colpo, il piccolo Esercito di Francesco V
(1846-1859, ob. 1875), Duca
di Modena, lo seguì in esilio senza una
Dunque certo vittimismo neo-borbonico anti-
piemontese è fuori luogo; i duosiciliani
dovevano difendersi nel 1860,
non piangere dopo, o ricorrere al
“brigantaggio”, sistema di lotta che molti al
Nord, anche i più simpatetici, non capirono e
non capiscono.
resta il fatto che l’Unità d’Italia venne
fatta molto, molto male e ne paghiamo le
conseguenze ancora oggi
P.S: il Piemonte, sino al 1848 stava
abbastanza bene economicamente; furono i
liberali a distruggere l'economia del Regno
sabaudo dal
1848 al 1859 ! se si paragona, come é giusto
fare, il Piemonte tradizionale (pre-1848) con
differenza nei conti, erano Stati solidi
ambedue, finanziariamente (pur con certi
problemi)...i liberali, quelli che il
"napoletano" principe di
Canosa (ultra-conservatore, autore de "I
pifferi di montagna") chiamava la "sovrana
itala liberalesca canaglia", rovinarono
entrambi,
prima noi e poi voi....Nizza e Savoia furono
cedute per ragioni politiche, per avere il
placet di Napoleone III all'annessione di
Toscana,
Ducati e Legazioni, e non per ragioni
finanziarie...lì sbaglia di grosso !
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