martedì 31 gennaio 2012

Miti e leggende da bancarella alimentano il consumismo.

E' un po' di tempo che l'uomo comune, alle prese con le beghe di tutti i giorni, non si riconosce con quanto esprimono i cantanti. Il problema è che al giorno d'oggi, a differenza di cinquant'anni fa, gli italiani hanno un livello d'istruzione più alto, e un po' tutti scrivono libri, in fondo il 50% di noi si sente un intellettuale, sopra la media, originale e caustico. Sì, è vero: il cantautorato degli anni '70 ha sviluppato una gamma di sentimenti più ampia, di tematiche più varie che non fossero l'amore uomo-donna, si è iniziato a cantare di politica, di sesso, di omosessualità, di discriminazione razziale, di solitudine, di malinconia, di strazianti pene d'amore cantate in tono lagnoso e non più con il dicotomico binomio: testo triste-musica allegra.
E' vero anche che gli artisti rimangono artisti, e quindi sono abituati a capovolgere il punto di vista delle cose, mantenendo la linea del paradosso, dell'inversione dei valori, del bianco che deve essere nero non perchè è così ma perchè si è bastian contrari.
La vita concreta del saldatore di Avezzano, le sue esigenze, il suo sentire, non collimano con questa certa utopia, che aveva senso negli anni '70 ma nel 2012 non funziona più. Ci siamo smaliziati, seguiamo un po' meno le mode come pecore, facciamo più quello che ci pare senza pensare a cosa dirà la gente. I tabù da rompere sono molti meno, e ad un revisionismo odierno ci rendiamo conto che anche i figli dei fiori diventavano una merce con cui fare quattrini a palate, a suon di milioni di dischi di Patti Smith, di Joan Baez, di Bob Dylan e chi più ne ha più ne metta. Un idealismo svuotatoci accompagna oggi come allora, tra un paio di jeans alla moda e una lattina di coca-cola sempre in mano.
Gran parte di quelli che andavano ai raduni del Parco Lambro a Milano o a Woodstock adesso non pagano le tasse e sono i primi a non lasciare posto ai giovani.


Il mito facile è dietro l'angolo: per vendere i propri prodotti i media e le aziende tentano di crearne sempre di nuovi: tutto è un mito, milioni sono i guru, gli opinion leaders, i cantanti "giusti" .
Vasco Rossi, Ivano Fossati, Marco Masini (poi pentitosi) danno addio alla musica? Pubblicizzano tale evento per attirare l'attenzione e vendere qualche disco in più o sono del tutto sinceri? Ad ogni modo, il panettiere della Brianza, (che ha già problemi di rincoglionimento per aver scambiato la notte col giorno a causa del suo lavoro) gli dice un bel: e chi se ne frega!


Ci hanno talmente imbottito di films e di immagini di Celentano, che va di moda dagli anni '50. Il molleggiato si ha insultato i vertici Rai perchè non si sarebbe fatto come voleva lui a Sanremo, dove percepirà tra i 300 000 e i 700 000 euro. Ora cantante e dirigenti stanno giungendo ad un accordo. Celentano ha annunciato che i soldi del compenso andranno in beneficenza.


La sostanza però non cambia, sono sempre troppi quattrini, sono soldi dei contribuenti e la Rai deve avere più rispetto nel loro utilizzo. C'è chi dice: "Ma Celentano ripaga la Rai con gli sponsors che attira". Ah sì? allora se la Rai ha gli sponsors, perchè paghiamo 112 euro di canone? Delle due l'una: o il canone o la pubblicità (ma questo è un discorso a parte).


Eccoli lì, i Guru preconfezionati che vivono nel ventre delle vacche: abbiamo ancora voglia di fare del cantante o dell'artista un santone? Francamente, quelle certe "notti tra cosce e zanzare", concettualmente, non hanno cambiato la vita a nessuno.
Oggi tutti scrivono libri: basta una comparsata in tv di qualcuno che non sa fare niente, ed ecco a distanza di due mesi comparire il suo libro nelle vetrine. Buon per lui. Resta il fatto che il libro di chi vive solo di apparenza non cambierà la storia nè del pensiero debole moderno, nè revisionerà le teorie del "pensiero forte" antico.
Andrea Russo

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