Sono molto lieto di riportare in calce a questa nota il bellissimo articolo della giornalista romana Daniela Amenta. Ben scritto e decisamente divertente, analizza il fenomeno dei writers con spunti del tutto propri.
E` un piacere leggerlo.
Orietta Berti è pazza
Ci sono città che si intuiscono, nella loro interezza, dai cimiteri. Una visita al camposanto e si mostrano di colpo. Di colpo le vedi e le capisci. Le senti, le comprendi. E ci sono posti che iniziano e finiscono in una piazza, tra i bastioni del centro o lungo il bancone di un bar. Roma no. Roma è sfuggente. E’ troppa. Sempre a gambe aperte, denudata, ripresa, fotografata. Che credi di conoscerla e invece t’ha regalato solo un pezzettino di sé. Magari il più inutile. Bisogna camminarci. Attraversarla. Leggerla. Perché Roma è una scritta. Un’enorme scritta. Una “Pasquinata” permanente. Il sor Pasquino lasciava sui muri versi e svolazzi d’acida poesia alla faccia dei potenti. I romani fanno altrettanto. S’armano di vernici, di spray e schizzano case, monumenti, tangenziali e gallerie della metropolitana, peggio dei gatti in calore. Roma si svela così, si racconta così. Slogan dopo slogan, segno dopo segno. Come se le scritte murali fossero rughe e cicatrici di una faccia vera, i particolari determinanti di un immenso volto umano. Chi era Angela, ad esempio? Ce lo siamo chiesti in milioni, passando su Ponte Garibaldi. Era una dichiarazione a lettere cubitali, una delle prime, di cuore e di lotta: Angela ti amo. Con la A cerchiata dell’anarchia. Una scritta rossa, gigantesca, incisa sul travertino bianco dell’Isola Tiberina. La vedevi dall’autobus. Definita e definitiva, quasi fosforescente, chiarissima anche di notte. E ci immaginavamo sia lei, che lui, l’amante anonimo. Pareva di vederli, belli e rivoluzionari, a scambiarsi baci e testi di Bakunin dalle parti del fiume. Che non è biondo, nocciola semmai, ma ha argini perfetti, candidi come fogli Fabriano extralarge. Apparve proprio qui, lungo il Tevere e a pochi metri da Castel Sant’Angelo, l’epica scritta-murales. Finì sui giornali, immortalata dai turisti, altro che “Cuppolone”. Era il disegno di un polso alto almeno un metro e mezzo e con un orologio fermo sulle 11.30: “E’ ora che v’aripijate”. Così, senza altro aggiungere, senza un destinatario preciso. Messaggio tipicamente capitolino. Non tanto per il “v’aripijate” ma per il cinico disincanto. Per questa capacità dell’Urbe e dei suoi figli di trattare di calcio, politica e sentimenti con lo stesso tono sornione e malandrino. Dove altro, se non in via del Tritone, poteva trovare spazio l’estrema sintesi tra tutti gli Andreotti possibili? “Giulio fatte de gladio”. Amen.
Scritte immortali, alcune. Mai cancellate. Che resistono al tempo e al traffico della Prenestina. Qui, la consolare, da quindici anni ospita quello sberleffo più degno di un elzeviro: “Co sto caldo ce voleva un bel governo ombra”. E poi scritte multiple, con cancellamenti, aggiunte, richiami. In via Morgagni, dove “Lotta Continua” si è trasformata in “CarLotta Continua a fare la mignotta” in barba al politicamente corretto. O sulla Roma-L’Aquila, già in odor di autostrada. Su di un pilastro prende forma perfino il dogma religioso: “Dio c’è”. Che però si riduce in barzelletta grazie al commento di uno spray apocrifo: “o ce fa?”. Multipla anche la celebre “La Roma è Magica”, riveduta e corretta dai laziali in “Se la Roma è Magica, Cicciolina è vergine”. E via così, tra sfottò e illuminazioni ruggenti. La storia raccontata sui muri. Quella globale, di tutti. Quella privata. “Silvia sei bella come il tramonto”. E un mese dopo via Silvia, con una linea decisa di vernice. “Laura sei bella come il tramonto”. Si attendono altri nomi sulla Tangenziale Est, nuove passioni. Rimane invece unica, come Angela, la rima baciata e dolorosa sulla volta più alta ed esterna del ponte Flaminio, direzione Corso Francia: “Costanza ti amo senza speranza”, opera di un acrobata o, in alternativa, di un ragno.
Roma è così. Come questi graffi che mescolano sogni, sintomi, peripezie e visioni. Leggere Garbatella, ad esempio, è un esercizio di stile continuo. “La malavita invomita, ricca e prepotente”, recita un nauseato muretto. Poco oltre gli risponde un portoncino guardingo “A Ste, guardete tu’ sorella”. Ed ecco che quasi appare questa sorella di Stefano, fanatica e maliziosa, che l’intero quartiere controlla, spia, segue, tra ansimi e sospiri. E’ proprio in periferia che i poeti de ‘noantri si scatenano. E si scatena una romanitas surreale. Centocelle in versione Artaud si condensa nel miglior verso mai prodotto nel circondario: “Orietta Berti è pazza”. Chapeau. Che aggiungere? E’ una stilettata geniale, un colpo raffinato e a sorpresa. Che né gli Skiantos, né Elio e le Storie Tese sarebbero riusciti a fare di meglio. Oppure quell’altra. Imprevedibile, che lascia di stucco: “Non esiste rivoluzione con la motorizzazione”. E tra via dei Mirti e un reticolo di strade che hanno nomi di fiori e frutta, ancora la fantasia al potere: “Onanismo militante”. Benvenuti, allora. Benvenuti a Roma, dove si scrive coi pennelli indelebili. Dove ognuno ha da dire la sua. Dove si tatuano sulle pietre e sugli intonaci frasi, pensieri, romanzi di una riga. “Addio splendida e spensierata adolescenza”, commenta un Peter Pan costretto a invecchiare all’Acqua Acetosa. Replicano in via Baccelli, sul marciapiede battuto dai trans: “I signori della lussuria sono disoccupati”. E non finisce mai. Perché la “Caput” è un giornale, un libro da sfogliare che si rinnova notte dopo notte, quando l’urgenza di dire, di comunicare arma anime pazze e sconosciute. Cosicché può accadere di tutto, pagina dopo pagina, mattone dopo mattone. Vedi il caso della Montagnola che si gemella con Coney Island. Proprio così. La prima scritta apparve nel quartiere, area sud. “Roma like New York. Montagnola like Coney Island”. Da oltreoceano, la risposta chiara e forte (documentata con alcune foto che fecero il giro degli increduli residenti). “Coney Island like Montagnola”. Il che vuol dire che anche questo pezzetto anonimo di città potrebbe avere il suo Lou Reed. E non c’è writer che tenga. Perché nel caso delle scritte non valgono le hall of fame, i tags o i caps. Il tratto o il colore. Vale l’immaginazione, valgono l’acume matto e la voglia di spernacchiare l’insopportabile mondo del buon senso, vale il gusto di sovvertire le regole e di prendersi la parola, senza chiedere il permesso. Il manifesto d’intenti dell’intero movimento degli scrittori murali potrebbe essere in Trastevere. Via San Francesco a Ripa. “Roma città sempre vicina a tutti. Viva gli autisti degli autobus”. La città commenta, dibatte, riflette così. Si riflette su marmi e pietra povera. Si difende. “Più samba meno caramba”, “Più bonghi meno binghi”, “Baccaja reddito”. Si riprende la voce, la lingua. Si racconta, declama. Quattro milioni e mezzo di potenziali Pasquini. Il più gigantesco esercito mai schierato dalla letteratura dei poveri. “Perché come te nessuna mai”, scrivono Giacomo e Corrado sulla Nettunense. Angela, Costanza, Coney Island e Orietta Berti lo sanno bene. Come te, Roma, nessuna mai. Firmato: “Muccino pippa”.
Questo articolo, che mi è particolarmente piaciuto, è firmato da Daniela Amenta. L'avevo letto ieri sul nuovo quotidiano gratuito di Roma 'Epolis' in una versione 'emendata'. Cercandolo in rete ho scoperto che - alla data 16 gennaio 2004 - è anche presente sul blog di cotesta giornalista all'indirizzo: http://www.danielaamenta.splinder.com/. Lì è scritto che era già apparso su un giornale che si chiama 'Urban'.
http://anticameracervello.splinder.com/post/9632268
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