Il futuro dell'Abruzzo: Regione dei Parchi o a vocazione industriale?
L'uomo venuto dal Nord.
Ogni tanto, quando sento parlare dell'economia abruzzese, mi torna in mente un simpatico episodio che mi è rimasto impresso nella memoria: mi trovavo al Porto Turistico di Pescara (la parola "turistico", come termine distintivo, può essere anche superflua visto che un porto vero e proprio, a Pescara, non c'è); un signore distinto, sulla sessantina, (probabilmente un uomo d'affari), elogiava la bellezza dello scalo pescarese e della mia città in generale: "ma questo è un Meridione che io non conoscevo: questa, signor, è la Svizzera!"
Se si lascia passare il fatto che in Svizzera ci sono porti turistici solo sui laghi, poichè il mare non c'è, la frase rende l'idea: Pescara non sembra una città del Meridione (a cui l'Abruzzo viene ancora oggi accomunato), ma è, a pieno merito, una delle città più ricche dell'Italia centrale.
Le nostre aziende e il nostro verde
Questo discorso è estendibile all'intera regione: lo stato di benessere generale, la cura da parte delle amministrazioni del territorio, la qualità della vita nelle città e nei borghi abruzzesi sono speriori agli standards del sud: da noi si vive bene.
Ci sono solide realtà nel campo economico: le zone industriali presenti nelle quattro provincie, il polo chimico, le aziende vinicole e agroalimentari sono solo alcuni esempi.
Importante è anche la presenza dei parchi, con un turismo naturalistico e montano che si cerca di far decollare.
Dire però ce la terra di D'Annunzio è il polmone verde d'Europa e altre sciocchezze sa di un campanilismo miope di cui molti fanno uso:
i politici per ingrandire i loro meriti, gli imprenditori del turismo e dell'agricoltura per preservare i loro affari.
In questo modo però non si contribuisce allo sviluppo della regione.
La discarica di Bussi e il fiume Aterno-Pescara ai primi posti nella classifica dei fiumi più inquinati d'Italia non si possono nascondere.
Quale modello di sviluppo scegliere?
Al di là delle disquisizioni teoriche su come realmentele cose stanno in Abruzzo, ciò che mi interessa stabilire è: quale sviluppo intendiamo dare alla nostra regione?
Dobbiamo puntare tutto sulla conservazione del nostrio territorio, slla manifattura artigianale e sul turismo, o dobbiamo puntare sul progresso industriale e tecnologico?
L'unica risposta che abbiamo dato, negli ultimi anni, a questi interrogativi è lo stallo più completo.
La terra dei no
L'Abruzzo ha detto no alla centrale Turbogas, alla centrale a Biomasse sul fiume Aterno-Pescara, al Centro Oli di Ortona (che altro non è che una raffineria)
O megli, non ha detto no: alle decsioni dei politici sono stati sempre contrapposti degli stratagemmi che ne rinviassero l'attuazione.
Vecchia storia è quella del terzo traforo sul Gran Sasso, che viene riproposto ciclicamente.
Io non sono nè favorevole, nè contrario a questi provvedimenti: non posseggo le competenze tecniche necessarie per poter emettere un giudizio certo.
Chi è favorevole, elenca le possibilità che potrebbero esserci in termini di svluppo economico e di occupazione;
chi si oppone elenca i rischi di inquinamento e di danni alla salute delle persone. Sullo sfondo, però, c'è una domanda che non ottiene risposta:
Quali sono i progetti per il nostro futuro?
Il vero problema è che la classe dirigente non ha ancora deciso cosa fare: se scegliamo la natura e il turismo, dobbiamo fare molto di più: ulteriori infrastrutture, impianti sciistici, centrali elettriche ad energia pulita (quella a bio-masse lo è), rimboschimenti, bonifiche, strategie per l'incremento dell'occupazione nei settori economici eco-compatibili.
Se invece scegliamo modelli di sviluppi tradizionali, dovremo accettarne il prezzo.
Dire sempre di no e lasciare tutto così com'è, invece, ha un solo risultato: il regresso.
Regresso in campo economico, culturale, tecnologico.
C'è bisogno di fare dei progetti e di guardare un po' oltre, a venti, trent'anni da adesso. Auspico che gli Abruzzesi abbiano, una volta per tutte, il coraggio di guardare lontano.
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